Racconta Tomás Saraceno che ha avuto difficoltà a studiare da ragazzo: condivideva una piccola stanza con i suoi fratelli e a salvare la sua concentrazione furono, in quegli anni, le ariose sale delle biblioteche pubbliche. Qualcosa dev’essere rimasto in lui di quella sensazione di claustrofobia e del desiderio di sgattaiolare via dalle costrizioni se poi, una volta diventato artista architetto e scienziato – una figura prismatica la sua -, ha cominciato a sognare spazi sospesi, bolle «celesti» percorribili, intime camere della lettura immaginate a centinaia di metri da terra, trasparenti e fluttuanti.
L’incertezza del volo e l’utopia tecnologica («ma questa è tale solo se non si realizza», sostiene l’autore argentino, nato a San Miguel de Tucumán nel 1973) sono divenute le coordinate concettuali del suo mondo, con un’accezione leonardesca: tutto è possibile se prima, però, si sperimentano dispositivi, sensazioni e alterazioni sentimentali sulla propria pelle. Saraceno, affascinato dalla luccicanza dei processi costruttivi insiti negli universi paralleli dei ragni e dalla lucida perfezione delle loro geometrie fluide, ha lavorato sia con la «materia prima» (gli aracnidi, più di cinquecento), lasciando che edificassero le loro ragnatele-dimore nei musei, sia sdoppiando quell’alacre affaccendarsi in mirabolanti città che ne ripetevano gli schemi matematici, infischiandosene della gentrificazione che andava occupando il mondo di sotto e riversandosi fra le nubi.

È QUESTA SUA PRATICA AEREA – l’abitabilità degli spazi galattici – che si ritrova nel Mirador della Torre Glòries di Barcellona. Lì, a quasi centotrenta metri dal suolo, nella parte finale di quell’enorme e assai brutto «missile» disegnato da Jean Nouvel e Fermín Vázquez che buca lo skyline, ha potuto impiantare il suo quartiere immaginario in cerca di stelle, che sfida la gravità e anche le vertigini dei visitatori che si inoltrano nella selva delle sue connessioni. Cellule, prismi, cabine della riflessione e contemplazione intersecano i loro fili come fossero ragnatele (appunto), mini-camere dove sostare spingendo lo sguardo dentro di sé (oltre che fuori, verso il panorama). Sono avvolte dal silenzio mentre sotto scorre la vita caotica della metropoli. Si accede imbozzolati in una tuta operaia di un bel blu elettrico perché vivere la scultura, scalare quell’alveare traballante di lillipuziani loft tutti interconnessi comporta dei rischi, significa mettersi in gioco con la pesantezza e la goffaggine del corpo, e anche con le emozioni contrastanti di fronte al pericolo e la paura (dal percorso di arrampicata non si può tornare indietro, solo procedere e andare avanti).

L’ARTE, PER SARACENO, bisogna sentirsela addosso. Solo così rinnova la sua ambizione di proporsi come una terapia «ecologica» in grado di ripulire la mente dai pensieri tossici. Il ritorno all’infanzia e al desiderio di esplorazione ludica di altri mondi è il primo mattoncino per una nuova iniziazione che fornisca un modello plausibile dello stare insieme, del fare comunità.
Cloud Cities è un’installazione permanente inglobata nei 34 milioni di euro investiti per far rinascere la Torre catalana (l’ultimo piano è stato liberato dagli uffici ed è stato dotato di un ascensore supersonico che impiega meno di trenta secondi a salire). A terra, un bosco di creature di cartapesta sospese in teche trasparenti racconta la vita delle specie animali urbane: è l’ingresso in una sorta di museo della scienza che poi prevede stazioni dedicate all’atmosfera, ai ritmi degli organismi, al respiro di Barcellona stessa.
Non è un caso, quindi, che alla sommità di quel percorso di installazioni ambientali, si trovi proprio Tomás Saraceno con la sua visionarietà acrobatica che si insinua nella realtà di tutti i giorni, un po’ come fanno i tendoni dei circhi nelle periferie, trasfigurando la quotidianità in un altrove.

L’AFFINITÀ ELETTIVA della sua città tra le nuvole è, naturalmente, da riferirsi a Richard Buckmister Fuller, il grande architetto e designer statunitense che inventò le cupole geodetiche derivandole dallo studio della cartografia terrestre.
Ma Saraceno procede oltre, va verso la meteorologia, consapevole che sia il fenomeno più fuggevole che esista, inafferabile, sempre posto fuori controllo dal potere degli umani. E le nubi che vagano sopra le nostre teste sono altrettanto «inaffidabili», sistemi aperti, creature in via di sparizione, oggetti mutanti di un’ecologia incorso di dispersione.