Le trivelle si sono messe di traverso contribuendo a bloccare nelle commissioni di palazzo Madama il decreto «Semplificazioni», nel quale l’M5S ha infilato quattro emendamenti. Con conseguenti zuffe e sberle tra gialli e verdi.

Si tratta, come spiega Enzo Di Salvatore, costituzionalista e tra i fondatori del coordinamento No Triv, di emendamenti alternativi tra loro: «Il primo ripropone il Piano delle aree, strumento che stabilisce quali zone siano compatibili con l’esercizio delle attività di ricerca e di estrazione. Introdotto nel 2014, è stato soppresso dalla legge di Stabilità del 2016. Agli enti locali sarebbe di fatto impedito di partecipare all’elaborazione del Piano. E non è chiaro entro quanto tempo questo documento verrà adottato». Soprattutto l’emendamento non sospende alcun procedimento in corso per il rilascio dei permessi di ricerca e delle concessioni per estrarre su terraferma e in mare. «Di fatto – prosegue Di Salvatore – vengono fermati solo i permessi con i quali si intenda trovare gas e petrolio con la tecnica dell’airgun». E sarebbero sospesi non fino all’approvazione del Piano, ma per il tempo strettamente necessario per fare nuovamente la Via (Valutazione impatto ambientale) e la Vas (Valutazione ambientale strategica).

Il quarto emendamento è quello meno digeribile per la Lega. Si sofferma principalmente sul Piano delle aree. Per Di Salvatore è quello meglio formulato, ma non mancano i punti critici: «Se verrà adottato, per le aree compatibili con l’esercizio delle attività di ricerca e di estrazione, i procedimenti sospesi si riavvieranno e quelli di ricerca già rilasciati torneranno ad avere efficacia; per quelle incompatibili, invece, i procedimenti in stand by si interromperanno e si avrà il rigetto delle istanze, mentre per i permessi già rilasciati ci sarà la revoca. Se entro tre anni il Piano non verrà adottato, tutti i permessi sospesi torneranno attivi. E non si dice niente sul divieto di usare l’airgun. Nessun emendamento affronta i quesiti posti con il referendum di tre anni fa».

Ma comunque sono sganassoni tra Lega e 5S. «Non condividiamo metodo e contenuti degli emendamenti dei senatori 5 stelle – tuona il leghista Paolo Arrigoni, della commissione Ambiente -. Ci aspettiamo la mediazione o il loro ritiro». «Non si può dire no al carbone, no al petrolio, no al metano, no alle trivelle – sentenzia Matteo Salvini, in tour elettorale in Sardegna -. Mica possiamo andare in giro con la candela e accendere i legnetti». «Non servono candele e legnetti – replica Manlio Di Stefano, sottosegretario 5S agli Esteri – ma investire come stiamo facendo sulle rinnovabili per la decarbonizzazione del Paese entro il 2025 e la produzione del 20% del mix energetico nazionale entro il 2030. L’età della pietra non finì per assenza di sassi».

E mentre Matteo Renzi si intromette («E’ uno scenario di piccinerie e ricattini. Siamo tornati alla prima repubblica»), arriva l’altolà della sottosegretaria all’Ambiente Vannia Gava, leghista: «Ho ascoltato le aziende e le loro preoccupazioni per le possibili conseguenze dell’emendamento. La posizione è di forte contrarietà. Bloccare questo comparto porterebbe gravi problemi di approvvigionamento di energia per un Paese che dipende per il 90% dall’estero contro una media europea del 54%».

La Lega è sul piede di guerra, ma dagli ambientalisti piovono critiche anche sui 5 Stelle: Pur di uscire dall’imbarazzo – denuncia il verde Angelo Bonelli – avevano annunciato, tramite il ministero dello Sviluppo, un emendamento del governo per il blocco dei permessi di ricerca degli idrocarburi, compresi quelli del mar Jonio. E’ invece arrivato un emendamento dei senatori pieno di inesattezze e annacquato. Sono dei fanfaroni». «Salvini è il garante dei poteri forti – commenta Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione -. Si era schierato per il sì al referendum contro le trivelle, ma solo strumentalmente. Ora ripete argomenti ridicoli, come quello sul fabbisogno nazionale».