È stato ancora l’anno di Putin: le due copertine che The Economist gli ha dedicato nel 2017 stanno lì a dimostrarlo. Il presidente russo ha chiuso la pratica siriana e ora collabora persino con i curdi per spazzare via le ultime enclavi dell’Isis. E si è posto come grande mediatore nel conflitto che oppone Trump a Kim, dimostrando ancora una volta di avere notevoli capacità tattiche. Nella crisi ucraina ha fatto ogni sforzo – assieme agli europei – perché si avanzasse sulla via della pace, senza farsi tirare la giacchetta dalle riottose «repubbliche ribelli». E il film-intervista con Oliver Stone è stato un esempio di propaganda politica all’altezza del XXI secolo.

Non è stato l’anno del grande riavvicinamento con gli Usa, ma gli va riconosciuto che ha poche responsabilità al riguardo. Ha fatto persino pace con Erdogan, a dimostrazione che affari e democrazia spesso non vanno d’accordo. In Francia all’amata madame Le Pen è andata male, ma si sa, non tutte le ciambelle riescono con il buco.

In Russia le cose sono andate così così. Il 2017 è iniziato con le denunce sulle persecuzioni dei gay in Cecenia. Lo «zar» in realtà vorrebbe che neppure gli spettacoli su Nureyev andassero in scena: le «minoranze sessuali», come le chiama lui, disturbano i sonni dei bimbi. Il Pil, dopo 2 anni di recessione, è tornato stentatamente al segno più. Ma se il prezzo del greggio non decollerà dovrà prendere in mano i dolorosi capitoli delle privatizzazioni e dell’età pensionabile dei russi. E intanto si prepara a lasciare le foto delle figlie sulla scrivania del Cremlino: le presidenziali di marzo sono una pratica di normale amministrazione per lui. E se la sua Russia a luglio non vincerà i mondiali di calcio, potrà consolarsi con il fatto che l’Italia non ha neppure partecipato.

 

Brindisi di fine anno al Cremlino
Brindisi di fine anno al Cremlino