Joan Vintró i Castells è professore di diritto Costituzionale all’Università di Barcellona e ha lavorato sia come giurista del Parlament catalano, sia nel Consiglio consulente per la transizione nazionale del Governo catalano, creato nel 2013 per dare all’esecutivo pareri giuridici sul processo di indipendenza. È stato anche collaboratore della commissione di Venezia, che fornisce consulenze giuridiche al Consiglio d’Europa.

Che succederà la prossima settimana?
Il governo catalano ormai non può fare passi indietro. Certo, una cosa è fare una dichiarazione che mantiene l’obiettivo dell’indipendenza, magari a medio termine, e un’altra è proclamarla. Forse non ci sono le condizioni per poterla esercitare, né per potersi difendere dall’inevitabile azione repressiva dello stato. Immagino una dichiarazione che mantiene gli obiettivi ma senza efficacia immediata per guadagnare tempo e lasciare aperta la porta a una mediazione.

Crede che questo dialogo si potrà produrre davvero?
Dal punto di vista catalano c’è un punto irrinunciabile: prima o poi si deve celebrare un referendum. La grande virtù dello scontro attuale è aver convinto molti settori catalani e non solo che la questione è seria, e non scomparirà.

Anche lei lo pensa?
Il panorama è cambiato. La questione delle imprese che cambiano la loro sede sociale dimostra che credono che qualcosa possa succedere. Siamo ormai sotto gli occhi di tutti. Bisogna trovare una formula.

La legge che istituiva il referendum, sospesa dal Tribunale costituzionale, era costituzionale?
Dal punto di vista spagnolo evidentemente no. Ma la discussione giuridica non ha più senso da tempo. È saltata per aria quando il governo e il Tc si sono rifiutati per anni di riconoscere la richiesta, appoggiata dalla maggioranza del Parlament e dei cittadini catalani, di poter svolgere un referendum. Di fatto, sono loro ad aver reso illegale il processo e hanno deciso di renderlo penalmente perseguibile, al contrario di quanto accaduto in Scozia o Canada. Di fronte a questo o ti pieghi, o decidi di costruire la tua legalità alternativa, come ha fatto il Parlament.

Quindi per lei la Dui, la dichiarazione unilaterale di indipendenza, sarebbe legittima?
Pur con tutte le difficoltà che conosciamo, senza poter rispettare le condizioni fissate dalla legge catalana stessa (ad esempio, non c’era una giunta elettorale, ndr), il referendum si è fatto. In queste circostanze, il sostegno ricevuto è sufficiente per una Dui, hai il sostegno sociale e la capacità di portarla avanti? Lo dovrà valutare il Govern.

Nella legge catalana non era neanche previsto un quorum!
La Commissione di Venezia non è favorevole né a quorum di partecipazione, né quorum minimi di favorevoli. Se il referendum viene svolto con tutte le condizioni, e rimani a casa, il tuo voto non conta. L’impostazione della legge seguiva queste indicazioni. Qui però il vero problema è il boicottaggio dello stato.

Il Tc è delegittimato come sostengono gli indipendentisti?
Non so, però la sua interpretazione della costituzione non è l’unica possibile. La Costituzione dice che la sovranità risiede nel popolo, che c’è un principio democratico che presiede il funzionamento dei servizi pubblici e che esiste la possiblità di celebrare un referendum consultivo su temi di speciale trascendenza. La mia tesi è che si può celebrare un referendum consultivo, anche solo in Catalogna, che poi però dovrà essere canalizzata in una riforma costituzionale, che alla fine dovrà votare tutto il popolo spagnolo. L’interpretazione del Tc è che tutto quello che non è esplicitamente permesso è proibito, e che se non si eseguono i suoi ordini, scatta la denuncia penale. Dal 2013 il Tc, ha analizzato non solo testi di legge ma anche dichiarazioni politiche, che non è il suo lavoro. E a parte dichiarare incostituzionali alcune decisioni, ordina che non se ne possa parlare più. Con la sua interpretazione non integratrice della costituzione, come un muro, è responsabile di questa situazione.