Dopo un silenzio durato parecchi mesi l’Agcom porta alla luce i numeri sul pluralismo politico delle televisioni. Al di là delle percentuali sullo spazio dedicato al Sì e al No, c’è un elemento che francamente continua a stupire, soprattutto se paragonato alle rilevazioni di qualche anno fa. Ed è lo spazio abnorme riservato dai telegiornali Rai al premier. L’ultimo documento Agcom ci dice che i tiggì pubblici gli offrono una media del 24% del tempo di parola e del 36% del tempo di notizia. In testa c’è il Tg2 con il 26% e il 41% dei tempi suddetti, segue il Tg1 di Mario Orfeo con cifre di poco inferiori (21,5% e 36,5%).

Ebbene: si tratta di percentuali del tutto inedite nella storia della televisione italiana. Un telegiornale che dedica un quarto o un terzo, se non più, delle proprie notizie al presidente del consiglio in persona (non al governo, attenti) è una cosa che non si era mai vista. A Mediaset ai tempi di Berlusconi ci avevano abituati a coperture molto elevate del premier, ma la Rai, invece, era rimasta molto al di sotto di questi valori sino ad almeno il 2013. Le cose cambiano con l’avvento di Renzi. La Rai che con Berlusconi, Monti e Letta aveva comunque dedicato al capo del governo un’attenzione non comune in altri paesi, comincia adesso con i suoi telegiornali a pedinare passo dopo passo il premier: quest’ultimo ne occupa stabilmente una fetta sempre più grossa sia con dichiarazioni riprese direttamente, sia con notizie che lo riguardano. Così i numeri, già importanti, salgono clamorosamente. Basti pensare che Berlusconi tra il 2009-2011 ottiene circa il 12% del tempo di parola, Monti durante il suo mandato quasi il 18% , Letta il 15. Appena arrivato, invece, Renzi, grazie anche all’effetto slides, supera a marzo del 2014 punte del 30%, poi si attesta su una media di oltre il 18%, prima di salire ancora nel corso dell’ultimo anno al 20-21% (34% del tempo di parola a dicembre 2015!).

Parallelamente il dato relativo al governo, cioè ministri e sottosegretari, va negli anni calando, lasciando sempre più spazio al premier. Con l’ultimo dato fornito dall’Agcom, riguardante la seconda metà di ottobre, il premier è al 24% del tempo di parola: cioè un quarto del tempo concesso agli attori politico-istituzionali se lo mangia il Presidente del consiglio. Cui i tiggì, non contenti di averlo fatto parlare così tanto, dedicano pure un terzo delle notizie che raccontano. Ma così non succedeva nemmeno negli anni ’50, dove il leitmotiv era dato piuttosto da ministri e sottosegretari. Se poi guardiamo ai tiggì di Mediaset il quadro non muta: anche se è curioso che Renzi qui raccolga tanto spazio, un fatto in fortissima controtendenza rispetto ad altri presidenti del consiglio che non si chiamassero Berlusconi. Gli va ancora meglio su Sky, che gli concede un tempo di notizia del 38%. Se poi volessimo concentrarci sul principale organo d’informazione del paese, qual è ancora il Tg1, ci accorgeremmo che quando era diretto da Minzolini e governava Berlusconi, quest’ultimo era lontanissimo dalle performance realizzate con la direzione Orfeo dall’attuale presidente del consiglio. Quello stesso Orfeo, si badi, all’epoca al Tg2, che, guarda un po’, rimproverava a «Minzo» di fare un tiggì filogovernativo.

Insomma ce n’è abbastanza per affermare senza tema di essere smentiti che la vicenda del pluralismo televisivo italico, che pensavamo rasserenata con il declino di B., continua a rimanere tormentata. Tanto da meritare qualche riflessione ulteriore. Cos’è che spinge i direttori dei tiggì a dedicare tanto spazio a Renzi? La chiacchiera quotidiana, ricca di battute ad effetto, dell’ennesimo «maledetto toscano» non spiega tutto, visto che anche Berlusconi parlava molto e faceva le battute. E allora, cosa c’è di nuovo? A noi sembra che la caratteristica di Renzi rispetto ai suoi predecessori sia di avere introdotto un uso martellante e quotidiano dei media, di tutti i media nessuno escluso, social soprattutto. Rispetto a Berlusconi, che usava soprattutto la tv, Renzi fa un salto in avanti, usa anche lui moltissimo la tv, ma soprattutto entra continuamente nel piccolo schermo grazie agli altri media: facebook, twitter, radio, e un sistema organizzato di microeventi centrati sulla sua persona.

Il fatto è, però, che pur di fronte ad una strategia così aggressiva, non pochi di questi piccoli accadimenti, reali o virtuali, non sarebbero nemmeno notiziabili, se ci fosse un sistema informativo degno di questo nome. Un sistema che si sforzasse di riconoscere, insomma, la notizia laddove essa veramente si manifesta e non dove qualche mosca cocchiera batte le ali per attirare l’attenzione e dirci che c’è. E così, drogato da un premier in perenne sovraesposizione, incapace di giocare sul serio la carta dell’autonomia, intossicato dalla politica (in tv anche nei formati leggeri), il sistema tv dell’informazione nazionale rimane tutt’oggi alla perenne ricerca di una normalità.