La devolution, il Porcellum, il federalismo fiscale sono tutti figli suoi, tutti sepolti. Il dentista Roberto Calderoli opera senza anestesia. Le conseguenze spesso fan soffrire. Un referendum, una sentenza della Corte Costituzionale e la massa inerziale di nove illeggibili decreti attuativi non bastano a suturare le ferite. Il Porcellum ancora infetta la legislatura. Per la Consulta il parlamento eletto con una legge illegittima è illegittimo. Andrebbe sciolto, ma non si può. Non si vuole. Bisogna fare prima la legge elettorale e magari la revisione della Costituzione. Così torna in gioco lui, Calderoli.

Sono in pochi ad aver meritato una condanna ad personam dalle Nazioni unite, qualche dittatore forse. Per il suo insulto alla ex ministra Cecile Kyenge l’ex dentista ed ex ministro fu definito un personaggio «scioccante» dall’alto commissario per i diritti umani dell’Onu. Pochi anche gli uomini soli capaci di far sollevare un popolo intero, comparendo al Tg della sera. Lui, sorriso stirato e occhietti immobili nel volto sovraccarico, ce l’ha fatta con quella maglietta anti Maometto. Quella maglietta, e Calderoli è ancora qui. Imprescindibile.

Ogni volta valanghe di critiche, alluvioni di condanne e un campionario di prese di distanza. Richieste di dimissioni anche. Perché lui è sempre in un posto dove non dovrebbe stare. Ma in genere ci resta, anzi poi lo applaudono quando presiede l’aula del senato come solo lui sa fare. Ha salvato diversi governi, riuscendo a fermare diversi ostruzionismi. Bravo Calderoli. Due mesi prima delle ultime elezioni, un mese prima della sentenza della Corte Costituzionale, era ancora lì che si inventava sistemi elettorali ispanico-padani o correzioni al suo classico Porcellum. E per l’Italicum ha già in testa due o tre rammendi che certo non potranno peggiorarlo. Nel frattempo è il più ricercato della prima commissione al senato. Studia emendamenti, raccoglie consensi, improvvisa ordini del giorno. Si dedica alla Costituzione.

«Lodatore» professionista, nel senso che prova sempre a proporre un’intesa – un «lodo» – tra le opposte fazioni, Calderoli è stato voluto dal Pd e da Forza Italia al posto di relatore sul bicameralismo. Perché, dicono, alla fine una soluzione lui la trova. Lui che a Lorenzago in bermuda e grappa si fece costituzionalista più dei professori convocati in baita, e tralasciamo gli esiti. La sua tecnica è collaudata. Alla soluzione ci arriva creando un problema. Ieri un ordine del giorno. Persino ragionevole, di fronte al governo che vuole imporre il suo disegno di legge malgrado i senatori glielo abbiano fatto a pezzi nel dibattito. «Poi lo cambiamo», assicurano Renzi-Boschi, cui importa soltanto piantare la bandiera prima delle elezioni. «E allora cambiatelo così», si inserisce Calderoli. E giù una nuova Costituzione ficcata dentro un ordine del giorno. Glielo voterebbero pure, i senatori, diventati nervosi per i troppi ultimatum della ministra.

E allora, per andare avanti, Calderoli deve ritirare il suo ordine del giorno. Eccolo quindi che può mediare, vedere cosa sta scritto nel nuovo testo che il governo accetterebbe, chiosare, emendare. Lodare. Calderoli ancora al centro della scena, con la nota saggezza bergamasca: «Vedere cammello, dare tappeto». L’altra relatrice, la presidente Finocchiaro, si arrabbia: «Non mi ha avvertito». E denuncia lo «sgarbo istituzionale» del leghista. Però non vede quello del governo che minaccia le dimissioni per decidere i tempi e i modi del dibattito parlamentare, avendo già deciso l’oggetto, cioè il disegno di legge.

Calderoli corruga solo un sopracciglio. Ha memoria di elefante. Ha vissuto come un torto personale lo spostamento dell’Italicum dal senato alla camera. «Oggi – dice – gli ho reso pan per focaccia». E alla fine incassa il sì al suo ordine del giorno. Cronaca vera di uno statista italiano.