C’è una sola possibilità di dare la parola a bambine e bambini nella scuola: che noi insegnanti si impari a parlare un po’ di meno e ad ascoltare di più. Del resto, come dice con espressione icastica un mio amico irakeno, ci sarà qualche motivo per cui ci hanno fatto una sola bocca e due orecchie!

Lo scorso anno, in quarta elementare, Nisrin un giorno ha detto che, quando siamo in cerchio, “il canto solleva e porta in giro l’anima per la stanza”. È dalla prima elementare che sono colpito dalla ricchezza delle metafore che a volte ci propone, superando la sua timidezza. La sua famiglia viene dal Marocco e sempre più mi vado convincendo che il modo in cui racconta come le cose viaggino tra l’interno e l’esterno della mente e del corpo sia nutrito da immagini che provengono dalla sua cultura, che purtroppo ignoro.

Scuole dell’infanzia e scuole primarie sono luoghi pubblici particolarmente delicati e preziosi oggi, perché è lì che i più piccoli compiono i loro primi passi verso una possibile convivenza pacifica tra culture, da inventare e reinventare ogni giorno.

Chiedere ai bambini figli di immigrati di parlare esplicitamente delle proprie origini, della propria famiglia o della terra di provenienza spesso è controproducente, perché scivola facilmente in un paternalismo inconsapevolmente invasivo. Bambine e bambini sperimentano sulla loro pelle, di diversi colori, quanto sottile sia il confine tra la percezione della diversità e pratiche più o meno coscienti di discriminazione. Molti, infatti, reagiscono facendo di tutto per essere o apparire come gli altri.

Eppure le potenzialità delle tante differenze che abitano le nostre scuole sono enormi e le insegnanti più sensibili e attente si domandano come rendere vivo questo fragile e necessario laboratorio del futuro, questa sorta di pronto soccorso culturale che è la scuola di base nel nostro paese oggi, quando riusciamo a farne un luogo di incontro, di scambio e di senso.

In fondo siamo lì per crescere, dunque per trasformarci, e farlo insieme tra diversi, comportando maggiore impegno e fatica, ci aiuta ad aprirci un po’ di più e a scoprire parti nascoste di noi, imparando ad entrare e a giocare con le metafore degli altri.

Sempre Nisrin, in terza elementare ha detto: “La matematica è un omino che va in bicicletta dentro la testa. Se si ferma cade, se riesce a correre risolve i problemi”. L’immagine mi è sembrata così bella che l’abbiamo scritta in grande sul muro. La trovo particolarmente efficace e ogni volta che osservo un bambino in difficoltà di fronte a un problema, penso a quel disequilibrio e a quella caduta di cui ci ha parlato Nisrin, che nasce da una sua difficoltà reale, sofferta.

Poi un giorno Pedro, il papà di un’altra bambina, che è uruguaiano e sta studiando l’arabo, mi informa che in arabo matematica si dice alriadiyatt, parola che nomina lo sport e dà l’idea dell’esercizio del cervello. Il papà di Nisrin aggiunge che forse v’è persino l’idea di acrobazia. Scopro così che l’origine della metafora di Nisrin sta nella lingua che parla in casa e in cui a volte pensa e forse sogna.

Diversità è ricchezza è un bello slogan, che rischia tuttavia di essere retorico. Diversità è anche fatica, sforzo, difficoltà da affrontare. Solo se percorriamo con consapevolezza e convinzione la lunga strada verso un autentico e sincero ascolto reciproco, possiamo tentare di trasformare il gruppo classe in una piccola comunità provvisoria capace di ascolto. Ma c’è davvero comunità quando ci sorprendiamo e ci stupiamo gli uni degli altri, quando i nostri ruoli e le nostre posizioni non si cristallizzano. Se ci riflettiamo, ogni relazione soffre e si avvilisce quando diamo per scontato ciò che ci aspettiamo dall’altro.

Ora, poiché nella cultura e nell’apprendimento tutto è relazione, è intorno alla qualità della rete dei rapporti che si stabiliscono tra noi – e tra ciascuno di noi e gli oggetti culturali che siamo chiamati ad esplorare – che dobbiamo tessere la fragile tela della reciprocità. Ma se io che insegno non faccio un passo indietro, non faccio un po’ di silenzio, è impossibile che mi metta davvero in ascolto.

 

 

 

 

BOX

Nell’ambito della XIV edizione del Festival della Mente sabato 2 settembre alle ore 10 al Canale Lunense, nell’incontro «Silenzio e ascolto per tessere relazioni», il maestro elementare Franco Lorenzoni rifletterà sull’importanza dell’ascolto nel processo educativo, portando l’esempio della sua Casa-laboratorio di Cenci ad Amelia, in Umbria, un luogo di ricerca educativa e artistica molto speciale.
Il Festival della Mente, il primo festival in Europa dedicato alla creatività e alla nascita delle idee, è diretto da Benedetta Marietti, con la consulenza scientifica di Gustavo Pietropolli Charmet (www.festivaldellamente.it). Promosso dalla Fondazione Carispezia e dal Comune di Sarzana, si terrà a Sarzana dal 1 al 3 settembre.
Tre giornate, 65 relatori italiani e internazionali e 41 appuntamenti tra conferenze, workshop e spettacoli in cui si indagherà in modo multidisciplinare il tema della rete. Il Festival si apre venerdì 1 a piazza Matteotti alle 17.45 con la lezione di Elena Cattaneo: «le reti che fanno bene alla scienza». Nella stessa giornata (in altre location) Michele Mari intervene su «La magia della rete» e Matteo Nucci e Valentina Carnelutti su «La rete di Eros. Seuzione». Tra gli altri eventi della giornata Marco Albino Ferrari al Canale Lunense alle 21.15 interviene su «L’incanto. Dalla Val Grande ai ghiacci polari» e alle 23 a piazza Matteotti «Le reti clandestine. Una rete di spie: il dottor Sorge a Tokyo».
Tra gli eventi di sabato 2 segnaliamo Elliot Ackerman con Imma VitelIi «Vivere la guerra e raccontarla», Marco Malvaldi e Claudio Bartocci «La Rete come struttura matematica», conversazioni con Benedetta Craveri, Giorgio Manzi «Nella rete del tempo profondo: Lucy, Neanderthal e altre storie», Matteo Cerri sull’ibernazione, Nicola Gardini «Ovidio e la rete delle metamorfosi», Suad Amiry , architetto palestinese, fondatrice e direttrice del Riwaq Center for Architectural Conservation a Ramallah: «Le reti del mondo arabo», Giulia Lazzarini con una produzione del teatro della Cooperativa «Gorla fermata Gorla». Domenica 3 tra gli altri gli interventi di Edoardo Albinati, Darwin Pastorin. Per tutte le informazioni:

www.festivaldellamente.it