Propaganda e sottovalutazione. I dati di febbraio sulla disoccupazione per il governo sono stati realmente un colpo durissimo. Il mutismo del premier twittatore è la conseguenza più evidente.

Un colpo che oggi sta diventando un tarlo nella mente di buona parte dei tecnici di palazzo Chigi e del ministero del lavoro. «E se l’aumento della disoccupazione derivi dai licenziamenti per fine cassa in deroga?», è la logorante domanda. Un pensiero che fa ancora più paura: se così fosse, l’effetto dei licenziamenti potrebbe avere un boom da qui a maggio, annullando l’aumento di contratti a tempo indeterminato derivante dagli 8 mila euro l’anno di sgravi alle imprese che assumono a tempo indeterminato – tutele crescenti.

Il tarlo si ingrandisce se si analizzano i dati dell’Istat. Il calo di 42mila donne occupate in meno a febbraio rispetto al mese precedente ha come spiegazione principale i licenziamenti nei settori dei servizi: in primis commercio, call center e cooperative sociali. Sono questi i campi in cui opera la cassa in deroga, quella inventata da Tremonti e Sacconi per alleviare gli effetti della crisi del 2009 e che difatti hanno a lungo calmierato il livello di disoccupazione.

Ma, si sa, la cig in deroga costa. E a pagare è lo Stato – a differenza di quella ordinaria e straordinaria, finanziata da imprese e lavoratori. Fin dai tempi della riforma Fornero si è deciso di abolirla – dal 2017 – e ogni governo ha cercato di spendere meno.

Il primo agosto scorso il ministro Poletti ha emanato un decreto interministeriale molto restrittivo che riduceva i tempi di copertura a soli 11 mesi nel biennio 2014-2015 e a soli 5 mesi per il 2015.

Gli effetti si vedono soprattutto ora. Al netto dei ritardi nei pagamenti – la gran parte dei lavoratori coinvolti deve ancora vedere i soldi del secondo semestre 2014 – moltissime imprese hanno usato tutti gli 11 – o 12 – mesi nel 2014 e ora non possono più fare domanda. La conseguenza è che i lavoratori – in gran parte donne – di queste aziende vengono licenziate andando ad ingrossare l’oceano dei senza lavoro.

«Oggettivamente quel decreto qualche problema l’ha determinato – spiega Gianfranco Simoncini, coordinatore toscano degli assessori regionali al lavoro -. Le imprese o hanno finito le coperture o sono scoraggiate a fare domanda per i ritardi nei pagamenti. In più lo stesso decreto ha ristretto i criteri della concessione della mobilità in deroga che era ancora usatissima nelle regioni del Sud come forma di ammortizzatore sociale a quattro o cinque anni».

Le persone licenziate ad oggi potrebbero fare richiesta del nuovo ammortizzatore sociale, la Naspi. Ma questa entrerà in vigore solo da maggio. E per questo il governo sta pensando di correre ai ripari. «Il fondo per i nuovi ammortizzatori sociali – 1,7 miliardi – per il 2015 non è totalmente esaurito», fanno sapere dal ministero. Possibile dunque che Poletti decida di utilizzare parte di queste risorse per riallargare i paletti della cassa in deroga per quest’anno, rendendo possibile una copertura anche per chi ha finito i mesi nel 2014.

Inoltre più di un esperto in materia continua a non capacitarsi dei numeri annunciati dal ministro Poletti sui nuovi contratti. In primis quei dati sono sempre stati comunicati a tre mesi di distanza – e quindi in questo caso si sarebbe dovuto aspettare maggio.

In più a «non tornare» è il fatto che il dato sugli avviamenti di solito è trimestrale. Ma il ministero ha deciso di fornire dati mensili. E allora il dubbio che viene è che i riferimenti presi sul 2014 siano stati in qualche modo suddivisi in modo arbitrario.

«Dai dati forniti ora emergono anomalie su marzo 2014. Ci sarebbero stati 1,142 milioni di avviamenti: più del doppio rispetto a febbraio e poco meno del doppio rispetto a gennaio. Gli avviamenti a tempo indeterminato a marzo 2014 sarebbero stati, elaborando i dati espressi a voce dal ministro, 193mila: il doppio di febbraio 2014 – rileva Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil -. Se non ci sarà un picco altrettanto anomalo a marzo 2015, il raffronto sul trimestre sarà molto negativo».