È campagna elettorale, certo, ma non è pensabile che non lasci ferite profonde la rissa da osteria nella quale è degenerata, molto più violenta tra i due alleati di quanto non sia mai stata tra maggioranza opposizione. Sul piano personale siamo agli insulti, sul piano politico a una divaricazione sull’intero campo. L’affondo più fragoroso di ieri viene da Salvini . Colpisce Di Maio ma ancora di più Conte.

DOPO AVER TENUTO A FRENO l’ira per giorni, il leghista ieri è sbottato. A una quindicina di chilometri da Lampedusa c’è di nuovo la Sea Watch e stavolta gli alleati a cinque stelle sono meno disposti del solito a lasciare le redini nelle mani del ministro degli Interni. Ma l’immigrazione è il suo terreno, quello dove si sente più sicuro e dove può rispolverare l’arroganza proibita quando si gioca in casa 5S, cioè sul terreno della corruzione: «Nessun ministro e neanche il presidente del consiglio pensi di ordinarmi di far arrivare le navi con i migranti». Chiusura drastica, dei porti e del dialogo: «Sono delinquenti, i nostri porti sono chiusi». Dal Viminale segue a stretto giro l’indicazione di rotta: «Vadano in Tunisia».

CONTE, DIPLOMATICO, evita la scontro diretto: «Possiamo contrastare la criminalità degli scafisti rispettando i diritti fondamentali. Non abbiamo mai consentito che morisse nessuno». Di Maio, invece, risponde a muso duro: «Di uomini soli al comando ne abbiamo già avuti e non ne sentiamo la mancanza. L’arroganza di Salvini ricorda quella di Renzi ma la vera emergenza è la corruzione, non l’immigrazione».

A SPOSTARE LO SCONTRO nel campo caro ai 5S, quello dove vanno sul velluto, il Salvini furioso non ci sta, e cala la carta sulla quale punta dal momento stesso della sconfitta sul caso Siri: il decreto Sicurezza bis: «Mi arrabbierei se per motivi elettorali qualcuno lunedì, al consiglio dei ministri, dicesse no al decreto». Per i 5S far passare senza modifiche le nuove norme di Salvini, con l’odiosa multa su chi salva vite, vorrebbe dire perdere definitivamente ogni credibilità agli occhi dell’elettorato di sinistra. Ma in serata arriva un comunicato del Viminale, brutale e perentorio: «Il decreto dovrà essere all’ordine del giorno del prossimo cdm. È solido ragionevole e necessario».

MA I PENTASTELLATI LA PARTITA se vogliono giocare tutta sul piano della corruzione. Un lunghissimo comunicato firmato dai capigruppo dei 5S D’Uva e Patuanelli chiede di fatto alla Lega di mettere alla porta chiunque sia indagato per corruzione: «È evidente che il moltiplicarsi delle inchieste ci pone di fronte a un’emergenza e i partiti hanno l’obbligo di dare l’esempio. Non abbiamo perso la fiducia nella Lega ma solo nei confronti di indagati e arrestati». Cosa significa lo chiarisce poco dopo l’anonima ma ufficiale “fonte” dei 5S: «Non pensiamo che la Lega sia fatta tutta di corrotti ma che si tenga i corrotti sì». Per il Carroccio l’invito è irricevibile. «Ma quale emergenza. Sono tre casi», minimizza Salvini.

IMMIGRAZIONE E CORRUZIONE sono i fronti più fragorosi ma quello davvero significativo è un altro. E’ sui conti pubblici e sul rispetto delle regole europee che si registra la vera sterzata del Movimento. Ieri Salvini ha messo da parte le perifrasi: «Tornerei alle regole pre-Maastricht. Bruxelles ci porta alla piena disoccupazione». Fino a poco tempo fa Di Maio non la pensava molto diversamente e proprio su questo terreno comune i due partiti si erano incontrati. Le cose sono cambiate. Di Maio oggi è il più deciso difensore della Ue, costi quel che costi. La replica a Salvini è categorica: «Le regole vanno cambiate ma non permetterò di portare l’Italia fuori dalla Ue». L’Italexit è una boutade o poco più. Il cambio di passo dei 5S è invece clamoroso e repentino: meno di due settimane fa era Di Maio a sostenere lo sforamento del 3% di deficit.

NON È ESCLUSO che la conversione abbia un preciso significato. I 5S sanno che il rischio di crisi è ormai fortissimo: in questo caso dovrebbero fare il possibile per evitare la corsa alle urne. Il riposizionamento sull’Europa è condizione ineludibile per cercare una via. Se il governo si sgretolerà nei prossimi mesi bisognerà prima di tutto scegliere chi porterà il Paese alle urne e, una volta trovata una formula, sarà quasi inevitabile tentare di adoperarla non per settimane ma per mesi, almeno sino alla primavera. Se dovesse accadere il peggio, l’improvviso amore per la già detestata Ue mette i 5S in condizione di poter dialogare con il Pd e forse persino con Fi per strappare quel provvidenziale rinvio