La «formula giuridica» tedesca per arrivare a un Grexit immediato sarebbe stata recapitata ad Alexis Tsipras immediatamente dopo il no al referendum di domenica scorsa: portava la firma del ministero delle Finanze, guidato dal superfalco Wolfgang Schauble, e prevedeva una sospensione dall’euro per cinque anni, in attesa che Atene rimettesse a posto il suo debito. In cambio, la Germania sarebbe pronta a inviare «aiuti umanitari» per fare fronte alla crisi.

Un modo formalmente ineccepibile, a giudizio tedesco, per buttare fuori gli scomodi partner dall’eurozona, un obiettivo perseguito fin dall’inizio delle trattative, come ha raccontato un anonimo negoziatore ellenico nei giorni scorsi al giornale web francese Mediapart e come ha scritto ieri sul quotidiano inglese The Guardian l’ex ministro delle Finanze di Atene Yannis Varoufakis, sacrificato sull’altare della ricerca di un compromesso e ritornato battitore libero. Non bastava, dunque, offrire ai creditori la testa del focoso ministro delle Finanze: il problema si chiama Syriza e il possibile contagio ad altri paesi europei di quella sinistra che si vorrebbe far diventare una mera «parentesi» nella storia di un’Europa a trazione e ideologia teutonica.

Fonti interne a Syriza raccontano che sarebbe stata la proposta di Berlino, considerata più di una minaccia, a provocare la conversione a U di Tsipras, che nel giro di 48 ore ha predisposto (con l’aiuto di alcuni tecnici inviati dal governo Hollande, che per Varoufakis è il vero obiettivo dell’ordoliberismo tedesco) una nuova proposta che in realtà riprendeva quella presentata dal governo greco il giorno dopo l’abbandono dell’Eurogruppo e l’annuncio del referendum e per la quale Angela Merkel aveva annunciato che se ne sarebbe parlato dopo il voto.

Per questo motivo, spiegano le stesse fonti, la minoranza interna di Syriza, pur con molti mal di pancia, avrebbe evitato di votare in Parlamento contro Tsipras. Fatta eccezione per le due deputate trotzkiste, che hanno detto no senza se e senza ma, non hanno partecipato al voto sette deputati (tra cui Varoufakis, assente per un lutto familiare ma schieratosi a sostegno del suo successore e collega Euclides Tsakalotos) e altri otto si sono astenuti dicendo «presente» al momento del voto. Tra questi, due figure di spicco come il ministro dell’Energia, nonché leader della Piattaforma di sinistra, Panagiotis Lafazanis, e la popolare presidente del Parlamento Zoe Konstantopoulou.

Due nomi che contano, nella galassia di Syriza, e che lasciano intravvedere un dissenso ben più pesante verso nuove misure di austerità, mitigato dalla consapevolezza che la palla, in questo momento, è nel campo avversario ed è meglio non prestare il fianco a Schauble e compagni. Se ne riparlerà se, e quando, l’accordo con i creditori dovesse andare in porto.

La stessa cosa hanno fatto i partner di governo dell’Anel: pur contrari ai tagli previsti alle spese militari e all’aumento dell’Iva per le isole, hanno votato sì. A partire dal leader dei Greci indipendenti e ministro della Difesa Panos Kammenos, che ha evocato, nel caso dovesse saltare tutto, scenari da guerra civile.

Il piano che Alexis Tsipras ha presentato ai creditori internazionali con il sostegno del governo francese sarebbe dunque figlio della volontà di non offrire alcun pretesto per arrivare al Grexit. Contiene misure per far pagare i più ricchi, che non dovrebbero incontrare opposizione all’interno di Syriza, ma pure concessioni sulla «linea rossa» delle pensioni e sulle privatizzazioni, che incontrerebbero più di un ostacolo nelle aule parlamentari e nelle piazze.

Il premier greco ha ammesso onestamente, davanti al Parlamento che in nottata l’ha approvato con una larga maggioranza (compresi i voti arrivati dal “fronte del sì”, da Nea Democratia al Pasok e To Potami), che non si tratta del «programma di Salonicco» grazie al quale aveva vinto le elezioni il 25 gennaio scorso ma semplicemente di una proposta «migliore» di quella bocciata con il referendum. Poi ha fatto capire chiaramente che, hic Rhodus hic salta, lui non avrebbe cambiato la maggioranza con la quale è stato eletto: se il mandato a negoziare con i creditori non avesse ottenuto la fiducia, si sarebbe tornati alle urne, facendo il gioco di chi lavora attivamente per un regime change in Grecia. È questa la vera partita che si sta giocando in questo momento tra Atene, Bruxelles e Berlino (e un po’ pure Parigi): evitare il contagio politico che può cambiare l’Europa, anche a costo di pagarne un duro prezzo economico.