La rivoluzione passa per Burgos. Una «tranquilla» città di provincia (nella regione di Castilla y León, nel nord della Spagna), 180mila abitanti, cattolica e conservatrice, governata dal Partido popular.

Lo scorso fine settimana, in uno dei suoi quartieri più densamente popolati, Gamonal – un tempo paese separato – è esplosa la rabbia. I giornali tradizionali solo ieri hanno iniziato a capire: improvvisamente un lungo vialone, la calle Vitoria, ex strada statale che attraversa il quartiere, si è trasformato in una piazza Taksim. Anche nella piccola Burgos la scintilla si è accesa su un progetto urbanistico di «riqualificazione» che prevede di trasformare l’invivibile arteria in un boulevard, una corsia per senso di marcia (oggi ce ne sono 4),con tanto di preferenziale per le biciclette. Con la costruzione di 200 posti macchina – 20mila euro ciascuno – in una zona con una cronica mancanza di parcheggi (gli abitanti la notte lasciano l’auto in doppia fila senza il freno a mano). Il progetto vale 8 milioni di euro – mentre per 13mila euro di debito sta per chiudere l’unico asilo del quartiere e le tasse comunali sono aumentate due volte nell’ultimo anno.

Ma Burgos non è una città qualsiasi. È lo specchio fedele della Spagna drogata dalla speculazione immobiliare. Era la città dove le case erano più care, dopo Madrid e Barcellona. E dove il costruttore Antonio Miguel Méndez Pozo, già condannato per corruzione negli anni 90, fa il bello e il cattivo tempo. Evidentemente, dietro il nuovo progetto c’è ancora lui.

La testardaggine del sindaco, che vuole continuare i lavori nonostante le proteste e i blocchi, fa scoppiare il finimondo. Decine di arresti, i soliti cassonetti bruciati, attacchi a banche e negozi. Guerriglia urbana insomma, non abituale da queste parti. «Tutta colpa del turismo teppista», ha detto subito il ministro degli interni, parlando di violenti che sarebbero andati a Burgos per cercare guai. Peccato che solo due dei 40 fermati (quasi la metà minori) venivano da fuori, e nessuno aveva precedenti per scontri analoghi.

Non pago di questa lettura, il vice del ministro ha colto la palla al balzo per difendere la nuova «legge di sicurezza cittadina», in discussione in parlamento, che inasprisce le pene detentive e restringe il diritto di manifestazione. Il tutto in un paese che si trascina da 5 anni nella crisi e, nonostante la disoccupazione sopra il 25%, con un divario sociale che cresce sempre di più (di ieri la notizia che i salari dei dirigenti negli anni della crisi sono cresciuti del 7%, mentre quelli delle classi medio basse sono scesi del 3%), non ha (ancora) mostrato segnali di rivolta violenta.

Burgos è ancora una volta una copia in piccolo di quello che sta succedendo nel paese. Le associazioni di quartiere – eredi politiche del movimento del 15M – si lamentano per tre motivi. Il primo è la scelta delle priorità. Prima di avere la strada elegante, chiedono servizi e lotta alla disoccupazione. Il secondo è un problema di uguaglianza: oggi, anche se male, la macchina la possono parcheggiare tutti. Domani solo chi avrà i soldi potrà farlo. E infine, la mancanza di dialogo. Il sindaco è arroccato, non vuole parlare con nessuno, dice che l’ha votato la maggioranza e chiama la polizia dalla capitale Valladolid per risolvere la questione.

Proprio come fa il governo a Madrid. Il criticatissimo disegno di legge sull’aborto per la prima volta in 3 anni ha fatto crollare il Pp sotto un debolissimo Psoe nelle intenzioni di voto. Lunedì Mariano Rajoy si è vantato con Barack Obama che per la prima volta dal 2008 nel 2013 la Spagna è cresciuta di ben 0.3% a forza di tagli. Come ha scritto l’attivissimo deputato di Izquierda Unida Alberto Garzón su facebook, «le proteste a Gamonal sono la punta dell’iceberg di un conflitto latente nella società». Lo scrittore Javier Marías sul País sostiene che il governo ha rotto il contratto sociale e dunque «la disobbedienza civile è giustificata». Le europee si avvicinano e il Pp comincia a tremare.