Formalmente è un privato cittadino, senza incarichi di governo né di partito. Le nomine per la guida delle partecipate però le ha decise lui, Matteo Renzi, secondo il metodo collaudato nei tre anni a Palazzo Chigi: piazzare dirigenti di fiducia nei posti chiave, privilegiando il criterio politico a danno di quello industriale.

Le sole mediazioni sono state con il potente alleato interno, Franceschini, e con il ministro Padoan, che comunque esce sconfitto.

ALLE POSTE È UNA RIVOLUZIONE. Al posto di Francesco Caio, l’ad che pure aveva realizzato l’anno scorso ottimi risultati, arriva dal vertice di Terna Matteo Del Fante, fiorentino, formazione JP Morgan, manager che gode della piena fiducia di Renzi. Anche la presidente Luisa Todini lascia il posto a Maria Bianca Farina, già ad dei gruppi assicurativi Poste Vita e Poste Assicura.

Ma il terremoto non riguarda solo il vertice. La lista del Mef prevede l’azzeramento dell’intero cda: resterà solo Roberto Rao.

I vicedirettori Bruschi e Marchese dovrebbero essere promossi nel prossimo futuro direttori generali. È stato l’asse tra loro, ex dalemiani, e il viceministro franceschinano Giacomelli a spianare la strada all’epurazione, che porta quindi le firme congiunte di Renzi e Franceschini.

In gioco c’era la privatizzazione della seconda tranche di Poste, sponsorizzata da Padoan, Gentiloni e Caio, contrastata dai due signori del Nazareno.

Il posto lasciato vacante da Del Fante a Terna sembrava dovesse andare ad Alberto Irace, oggi Acea, il candidato della sottosegretaria Boschi. Ma a sorpresa, in serata, il cda di Cassa depositi e prestiti, a cui spetta la nomina, ha scelto invece Luigi Ferraris, direttore finanziario di Poste, il candidato di Padoan. Evidentemente lo smacco subito dal ministro con la defenestrazione di Caio doveva essere in qualche modo compensato.

Cambia molto, anche se in questo caso non tutto, anche nella ex Finmeccanica, oggi Leonardo. Resta presidente l’ex superpolizotto Gianni De Gennaro, quello che comandava la polizia ai tempi del G8 di Genova, mentre viene messo alla porta Mauro Moretti, nonostante risultati da record nel suo triennio. Questione di «opportunità politica», essendo stato condannato in primo grado per la strage di Viareggio, avvenuta quando era a capo delle Ferrovie.

Lo spostamento pare fosse stato richiesto dallo stesso Mattarella, anche se qualche esitazione prima di sostituire un dirigente con alle spalle ottimi risultati alla testa del più importante asset italiano sarebbe stata giustificata.

SOPRATTUTTO PERCHÉ al suo posto va l’ex banchiere Alessandro Profumo, che in materia di difesa è poco ferrato e soprattutto poco fornito dei necessari contatti internazionali. In compenso è un esperto in materia di liquidazioni, il che qualche sospetto inevitabilmente lo desta.

TUTTO INVARIATO invece per quanto riguarda Enel ed Eni. Restano i tandem Emma Marcegaglia presidente e Claudio Descalzi all’Eni, Patrizia Grieco con Francesco Starace Ad all’Enel. Entrambe le squadre erano state scelte da Renzi nella primavera 2014, ma in continuità con le gestioni precedenti.

All’Enav, infine, è stata confermata l’ad Roberta Neri, mentre alla presidenza Ferdinando Falco Beccalli lascerà il posto a Roberto Scaramella.

Le proposte avanzate ieri dal Mef verranno ratificate dalle singole assemblee di approvazione dei bilanci a partire da Eni, il 13 aprile, per concludersi a metà maggio con Leonardo.

Più che le conferme, prevedibili, a fare scalpore sono i ricambi, soprattutto perché non giustificati neppure in minima misura da considerazioni industriali ma dettate solo da logiche politiche, con sullo sfondo lo scontro in atto tra governo e vertici del Pd sulle privatizzazioni e sugli interventi ai conti pubblici richiesti dall’Europa, dei quali la manovra aggiuntiva imposta entro il 30 aprile è il primo atto, o forse soltanto un prologo.

IL PIÙ DURO NELL’ATTACCARE la regia di Renzi nella selezione dei vertici delle partecipate è stato Beppe Grillo dal suo blog: «Lo scandalo Consip è come se non esistesse per Renzi. Adesso si sta dedicando, senza avere alcun titolo, a gestire le nomine e a piazzare i suoi uomini. È grave, intollerabile e pericoloso».

Attacca frontalmente anche Sinistra italiana, con Stefano Fassina: «Le scelte del governo presentano aspetti incomprensibili. Il criterio delle performance raggiunte è applicato in modo inspiegabilmente discontinuo. Il ministro venga in aula per fare chiarezza».

Più sfumati gli scissionisti dell’Mdp. Per Epifani ci sono «luci e ombre», queste ultime essendo rappresentate dalla cacciata di Caio e dalla scelta di Profumo.

Ma la vera ombra che emerge dalle nomine di ieri è che Renzi è sempre uguale a se stesso. Come pure il suo metodo: l’occupazione secca del potere.