Sul finire della battaglia, Matteo Renzi cambia veste. Depone i panni del mazziere, prova a indossare quelli del dialogante e se si tratta solo di una giravolta di facciata o di più sostanziosi impegni lo si capirà presto. Di certo per la prima volta il decisionista di palazzo Chigi sfodera il sorriso. Si dichiara “disponibile al dialogo con tutti” e soprattutto, in pubblico e in privato, garantisce qualche cambiamento nel complesso integrato delle sue riforme. Promette che il referendum confermativo ci sarà di certo, e se sarà necessario tenere a casa qualche senatore di maggioranza per far mancare i due terzi (che precluderebbero il referendum) lo si farà. Si avvia a incontrare, martedì prossimo, Berlusconi con in tasca una proposta di modifica dell’Italicum ben più profonda di quella che aveva in mente sino a pochi giorni fa: soglia del 40% per il premio di maggioranza, parziale introduzione delle preferenze, soglia di sbarramento al 5% uguale per tutti, chi si coalizza e chi corre da solo.
Il sì del socio di Arcore ancora non c’è, e nonostante l’ottimismo di Renzi non è affatto detto che arrivi. Non a caso nelle ultime ore ha ricominciato a circolare l’ipotesi di assegnare il premio non alla coalizione ma alla lista, uno slittamento che metterebbe fuori gioco Berlusconi, essendo inimmaginabile l’ingresso della Lega in una lista unica di centrodestra. Guarda caso è giusto lo spettro che agita Verdini ogni volta che Berlusconi gli pare tentato dall’ideuzza di sottrarsi all’abbraccio del Nazareno.

Ulteriori spiragli, pur senza alcun impegno, li socchiude la Boschi. La ministra non esclude interventi su punti salienti della riforma: le soglie per i referendum abrogativi, l’immunità, la platea per l’elezione del capo dello Stato, alcuni aspetti della riforma del Titolo V. Nulla di definito: tutto potrebbe risolversi in ritocchi appena cosmetici. Ma che ci siano stati un miglioramento del clima politico e della disponibilità, almeno sulla carta, del governo è certo.

In perfetta schizofrenia, per ore e ore i pertugi di rasserenamento si accompagnano, al Senato, a improvvise impennate della tensione. Dopo la notte delle barelle, con due senatori, una dell’Ncd e uno della Lega, in ospedale, la giornata ricomincia sotto i peggiori auspici. Da giorni il presidente Grasso oscilla tra tentativi dialogo e improvvisi ricorsi alla mazza ferrata. Ieri mattina, forse anche in seguito a un colloquio con Zanda che aveva invocato le maniere fortissime, il presidente era in uno stato d’animo modello piazza Tien An Men. Di qui la negazione di ogni possibilità d’intervento ai senatori contrari alla riforma, le maniere che più spicce non si può, il continuo ricorso al silenziamento dei microfoni, culminata nella scelta di ammutolire la relatrice di minoranza Loredana De Petris. Una mossa tanto brutale che persino il forzista Nitto Palma insorge, mentre i dissidenti del Pd fanno finta di niente. Una gestione tosta, oltretutto, particolarmente fuori luogo dal momento che nella notte Sel si era già detta pronta ad accogliere il nuovo invito all’incontro tra opposizione e governo preparato dal pd Tocci: una versione riveduta e corretta dell’appello di Chiti, lasciato cadere nel vuoto dal governo due giorni prima.

Esasperate, tutte le opposizioni lasciano l’aula. E’ a quel punto che Grasso riscopre di colpe le meraviglie della disponibilità. Si attacca al telefono, chiama uno dopo l’altro i capigruppo ribelli, promette di concedere qualche minuto di intervento per emendamento: almeno le soglie minime di agibilità democratica nell’aula di palazzo Madama sembrano ripristinate. Sel e M5S decidono di rientrare. La Lega no. In aula, Tocci lancia il suo appello: “Moltissimi senatori sono convinti chela riforma possa essere migliorata. E allora perché il governo non si decide a incontrare le opposizioni per mettere a punto insieme correzioni e miglioramenti?” E’ proprio la stessa proposta respinta con sdegno dal governo 48 ore prima. Ma a palazzo Chigi, adesso, la parola d’ordine è cambiata. Incassata di fatto la riforma grazie a contingentamenti, marsupiali, riscritture private del regolamento, eliminazione secca dei voti segreti, Renzi deve scrollarsi di dosso quel tanfo di caserma che gli si è addensato intorno nelle ultime deprimenti giornate. Dunque stavolta la ministra Boschi sfodera un sorrisone e si dichiara pronta.

Poche ore dopo incontra la presidente del gruppo Sel e di quello leghista. Cerca anche più volte quello del M5S, Petrocelli, che non risponde mai. Con Sel non è una trattativa, anche perché non c’è più molto da trattare. Ieri è passato anche l’art. 2 della riforma. Il senato elettivo è cassato definitivamente. E tuttavia la riforma resta un enorme problema politico, semplicemente perché così come è non funziona. Più che di uno “scambio” si tratta quindi, forse, dell’avvio di un dialogo politico. Così del ritiro degli emendamenti, che avrebbe tenuto banco fino al giorno prima, non si discute quasi. Da una parte vengono elencate le critiche alla riforma, dall’altra arriva l’impegno, per ora solo verbale, a prenderle in considerazione e a “lavorarci” nei prossimi giorni. Nelle stesse ore, a palazzo Chigi, Renzi incontra i capigruppo di maggioranza e dirama l’ordine di non attaccare più Sel. Finché si scherza si scherza, ma quando si tratta di votare regione per regione è un’altra storia.

Dopo gli incontri la Lega sceglie comunque di non rientrare in aula e promette un’opposizione durissima anche sui decreti, sui quali il governo si appresta a mettere la fiducia. A partire, oggi stesso, da quello sulle carceri. I pentastellati rientrano ma se ne rivanno subito dopo, adducendo il non esser stati convocati del governo come motivazione dell’alzata di scudi. E’ un alibi. Il M5S e la Lega, non hanno alcun interesse a riprendere il dialogo con il governo. A differenza di Sel che, nonostante lo scontro durissimo con Renzi, al sogno, o al miraggio, di ridare vita al centrosinistra non può rinunciare.