È difficile cambiare verso ad un’economia che cavalca le onde della crisi. Tanto più il naufrago cerca di risalire verso il pelo dell’acqua per prendere una boccata d’aria, tanto più la corrente lo spinge in basso nei marosi della recessione. Ieri l’Istat ha rivisto in peggio le già cautissime previsione sulla crescita anemica nel secondo trimestre 2014. Il Prodotto interno lordo aumenterà al massimo dello 0,3%. Nella peggiore delle ipotesi la crescita tornerà negativa a -0,1%.

«La variazione congiunturale del Pil – scrive l’Istat nella nota mensibile sull’andamento dell’economia italiana – è prevista ricadere in un intervallo compreso tra -0,1% e -0,3%». Una previsione peggiore rispetto alla precedente fissata a +0,4%. «Il recupero dei ritmi di attività economica dovrebbe risultare più graduale di quanto atteso all’inizio dell’anno». Sfumature per dire che la «cauta» previsione su una crescita allo 0,8% effettuata dal ministro dell’Economia Padoan e dal governo nel Documento di Economia e Finanza (Def) di aprile è un miraggio.
Persa la scialuppa della crescita per quest’anno, il governo ha davanti a sé il mare aperto della recessione tecnica. Infatti, dopo il calo del primo trimestre, il rischio di un Pil negativo si è affacciato come e più di un’ombra anche nel secondo trimestre. Se confermato, alla terza rilevazione negativa a giugno, l’Italia sarà tornata in recessione. Un incubo a forma di «W» che sembrava ormai alle spalle da fine 2013. Per il momento il Pil è previsto evolvere a ritmi sostanzialmente analoghi anche nella seconda metà dell’anno in corso. Tenuto conto del dato per il primo trimestre, la sua variazione dovrebbe risultare alla fine dell’anno debolmente positiva, comunque lontano dagli obiettivi del Def.

Una scialuppa di salvataggio potrebbe arrivare da Mario Draghi a Francoforte. Sono in molti, infatti, a confidare nelle operazioni di rifinanziamento a tasso agevolato annunciate dal consiglio direttivo della Banca Centrale Europea di inizio giugno. Per l’Istat la parte dei mille miliardi promessi all’Italia potrebbe essere un’àancora di salvezza, mentre la spesa in beni capitali – il principale sostegno per la ripresa – potrebbe fare da stampella alla liquidità delle imprese.

L’atto mancato della crescita, definito anche in termini clinici come la «malattia della lenta crescita», ha inciso sul mercato del lavoro dove ci sarebbero anche «segnali positivi», ma che non delineano una «chiara inversione di tendenza». Nel primo trimestre i disoccupati erano 3 milioni 216 mila, aumenta di 138 mila nell’ultimo anno. La disoccupazione giovanile al 43,3%. Secondo il rapporto Bes 2014 Istat-Cnel la quota di persone che vivono in famiglie assolutamente povere passa dal 5,7% all’8%. In questo rapporto è stata anche misurata la ricchezza bruciata dalle famiglie italiane al 2012: è calata del 2,9%, anche se continua a restare tra le più alte d’Europa. Pesa l’alto numero dei proprietari dell’abitazione di residenza, l’elevato costo degli immobili, ma non per i redditi percepiti.

L’erosione dei redditi, dovuta anche alla disoccupazione, alla precarietà e all’inoccupazione incide anche sui livelli dei consumi. Ieri l’Istat ha comunicato che l’inflazione ha rallentato ancora a giugno, fermandosi allo 0,3% dallo 0,5% di maggio. È il livello più basso dall’ottobre 2009. Tale calo «è imputabile all’accentuarsi della diminuzione dei prezzi degli alimentari non lavorati» sostengono i ricercatori. Ma su base mensile i prezzi sono aumentati, in particolare nei trasporti (+0,7%) per fattori di natura stagionale. Dati «sottostimati» per Adusbef-Federconsumatori. «Basta guardare all’impennata dei prezzi dei carburanti per capire come non sia possibile che i prezzi crescano così lentamente» affermano Rosario Trefiletti e Elio Lannutti, responsabili delle associazioni. Tra il 2012 e il 2013 i consumi sono crollati dell’8,1%. Questo accade all’indomani dell’intervista del sottosegretario Pd alla presidenza del Consiglio Graziano Del Rio al Corriere. Visto che di crescita non se ne vede l’ombra, così come dell’aumento dell’occupazione, il governo pensa di ottenere dalla flessibilità del patto di Stabilità 10 miliardi da investire nella spesa sociale e per le infrastrutture. Gli oltre 2 mila miliardi di debito pubblico verrebbero «mutualizzati» in un fondo federale in cambio dell’ipoteca sul patrimonio immobiliare dello Stato. Il debito verrebbe tagliato del 25-30%, 3 miliardi all’anno verrebbero dalle privatizzazioni.