Il clan di Donald Trump ha messo in atto la sua minaccia. A nove giorni dallo sgombero della Casa bianca, il falco neoevangelico Mike Pompeo ha inserito Cuba nella lista nera dei «paesi patrocinatori del terrorismo», assieme a Siria, Iraq e Corea del Nord. Pura vendetta contro un paese colpevole di non essersi piegato sotto le quasi 200 misure e sanzioni decise da Trump per strangolarne l’economia. Misure che si sono sommate a 60 anni di blocco economico, finanziario e commerciale unilaterale per abbattere il governo socialista dell’isola.
ERA STATO IL PRESIDENTE Barack Obama nel 2015 a dichiarare «un fallimento» l’embargo – ricordiamo deciso nel 1960 dall’allora segretario di Stato, Lester Mollory, con lo scopo di provocare «una sollevazione della popolazione a causa della fame e della disperazione». Obama aveva tolto Cuba dalla lista nera come misura necessaria per inaugurare una politica di ripresa delle relazioni diplomatiche e di relativa apertura, come dimostrava la storica visita del presidente Usa all’Avana nella primavera del 2016.
L’ukase lanciato da Pompeo comporterà un forte disincentivo (sanzioni Usa) a esportare, investire e dare servizi a Cuba- anche per le grandi istituzioni finanziarie, Fmi e Bm, in una fase in cui l’isola – come il resto del pianeta – affronta una crisi amplificata dal Covid-19 ( -11% del Pil nel 2020.
«È una misura ipocrita e cinica» ha commentato su Twitter il ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez. Il governo cubano dal primo gennaio ha reso operativa la Tarea Ordenamiento, una serie di riforme monetarie ed economiche – definite «le più profonde dagli anni Novanta» del secolo scorso – che hanno lo scopo di rilanciare l’economia. Ma a prezzo di lacrime e sacrifici che stanno provocando ansia e malcontento in gran parte della popolazione.
LA POLITICA DEL PIÙ FIDO scherano di Trump è dunque in piena linea con lo scopo che si era prefisso il suo collega sessant’anni fa: provocare «fame e disperazione» nella popolazione cubana per indurla a insorgere.
L’obiettivo politico di questa misura vigliacca ma pericolosa è mettere i bastoni nelle ruote di una, data per probabile, politica di appeasement verso Cuba del presidente Joe Biden.
Obama gli aveva affidato una sorta di supervisione della politica Usa verso l’America latina. Dunque, quando era vicepresidente, Biden aveva quantomeno approvato il cambiamento di rotta verso Cuba deciso da Obama – almeno nella forma politico-diplomatica, perché la sostanza della linea degl Usa è sempre stata quella di sbarazzarsi del «regime socialista» voluto da Fidel.
Un anonimo membro della nuova Amministrazione ha dichiarato ieri al Wall Street Journal che Biden potrà togliere Cuba dalla lista nera.
Ma di certo, con tutti i problemi che dovrà affrontare – compreso quello di difesa dell’ordine democratico – il nuovo presidente non considera urgente il dossier Cuba.
Il tempo – assieme agli investimenti esteri e agli incentivi – è invece un fattore strategico per il governo dell’Avana.
Se Biden non cambierà la politica del garrote di Trump, le chance di rilanciare l’economia di Cuba sono ridotte.
VI È INFINE UN VELENOSO scopo di politica interna nella decisione di Trump. Uscito dalla Casa bianca tra feroci polemiche e nel disonore di un seconda richiesta di impeachment, il magnate è deciso a trasformare la Florida – uno degli Stati che attribuisce più voti elettorali (29 ) per la presidenza – in un suo feudo dal quale programmare un rilancio politico. Trump infatti ha da tempo scelto come residenza il suo esclusivo club di Mar-a-Lago nello Stato del sole. La figlia Ivanka e suo marito Jared Kurshner hanno comprato a suon di milioni un terreno a Indian Creek. E la giovane Trump ambisce alla carica di senatore (repubblicano) della Florida nelle elezioni fra due anni.
IN FLORIDA hanno una delle più forti basi i Proud Boys, i macho-suprematisti guidati dal cubanoamericano Enrique Tarrio, distintisi in prima linea nell’assalto al Campidoglio.
Ma soprattutto la Florida alberga la contra che vuole abbattere con tutti i mezzi «la dittatura socialista» nei Caraibi, dagli storici anticastristi (e terroristi) cubano-americani, fino ai ricchi venezuelani che si sono “rifugiati” in lussuose ville e finanziano l’opposizione golpista in Venezuela, passando per gli oppositori del governo della famiglia Ortega in Nicaragua.
Tutti sostenitori accaniti di The Donald, grati dell’ultimo regalo che l’ex presidente ha fatto loro.