Da quando il regime dell’ordine e delle frontiere era al potere, i dissenzienti erano costretti alla clandestinità. Neonate ordinanze avevano imposto nuovi divieti. Vietato riunirsi in luogo pubblico in più di tre persone, cosa che creava grossi problemi alle coppie con due figli perché dovevano andare a passeggio due a due e distanziati di almeno centro metri gli uni dagli altri. Vietato nominare il nome del capo se non per osannarlo, bisognava quindi stare attenti ovunque perché telefoni, email, angoli delle strade, portoni dei palazzi, l’interno dei locali e gli ingressi delle abitazioni erano disseminati di telecamere, microfoni e spie in ascolto.

IL TERZO comandamento recitava Vietato esporre striscioni a finestre e balconi. La misura era stata imposta con un’ordinanza, segreta perché bisognava salvare la parvenza di democrazia, dal Ministero dell’interno alla PORCA, la Polizia Ordine Repressione Controllo Armati che rispondeva direttamente al ministro. La decisione era stata presa dopo che in tutto il Paese era spuntata una quantità crescente di lenzuoli e striscioni che recitavano «Non in mio nome», «Non sono tuo figlio», «Sei il ministro dell’odio», «Non ti votiamo e non ti vogliamo», «Sei un fascista», «Dove hai messo i 49 milioni che hai rubato?», «Chi di barconi ferisce, di balconi perisce», «Non sei il benvenuto», «Mai con te».
Per annientare sul nascere ogni tentativo di insubordinazione, la PORCA aveva cominciato a perquisire le case sospette e i negozi di biancheria per la casa requisendo tutte le tovaglie, tende e lenzuola di colore chiaro e a tinta unita. Ormai sul mercato si trovava solo teleria a tinte forti e fantasie marcate. Erano ammessi solo fiorami, strisce e figure geometriche invasive che rendevano illeggibile e confusa qualunque scritta.

ANCHE la candeggina e i prodotti sbiancanti erano stati ritirati dal mercato per stroncare sul nascere tentativi di decolorazione, così come erano scomparsi pennarelli, pitture indelebili e tinte fluorescenti. Costretta a dormire fra lenzuola multicolor e a mangiare su tovaglie psichedeliche, la popolazione aveva cominciato a dare fuori di matto. Rilassarsi era diventato impossibile, i sonni si erano fatti agitati, i bambini si svegliavano irascibili, gli adulti andavano a dormire infelici. Si stava diffondendo un’epidemia di disturbi della personalità da tetraggine acuta, il paese oscillava fra isteria e depressione.
I più determinati e ribelli cominciarono a organizzarsi. Serviva una resistenza capillare e capace di aggirare i divieti. Non c’erano più teli bianchi a disposizione? Avrebbero ritagliato grandi lettere dai tessuti fantasia. Si rischiava l’arresto se si esponeva alla finestra una scritta? Avrebbero usato spazi pubblici o comuni. Non si poteva criticare il ministro? Non lo avrebbero nominato scegliendo uno slogan, solo uno, da diffondere in tutto il Paese. Una rete di volontari cominciò a fare a pezzi tende, lenzuola e tovaglie ricucendole a forma di lettere giganti, un’altra le unì formando la frase prescelta. Un altro drappello si dotò di tagliaerba per incidere la scritta sui prati. Poi, la notte dopo la parata del Regime, quando le polizie ubriache di vittoria dormivano, i dissenzienti piazzarono in ogni spazio disponibile la frase della rivolta.
La mattina dopo, quando la gente si alzò e gli elicotteri della PORCA si alzarono in volo per l’abituale giro di ispezione, sui tetti, sotto i ponti, sui prati, sulle facciate delle chiese, sulle piazze, lungo le spiagge, l’intero Paese gridava una sola coloratissima frase: NON CI AVRETE. La resistenza era cominciata.

mariangela.mianiti@gmail.com