Alla fine il plebiscito c’è stato. Con il 76,6% dei voti espressi e il 67,5% della partecipazione ora si può veramente parlare di «Zar Vladimir». Un successo non scontato alla vigilia, soprattutto per quanto riguardava l’affluenza. Ma da questo punto di vista le cose si sono messe per Putin sul binario giusto già dalla prima mattina.

LA STRATEGIA dei suoi spin-doctors era quella di lanciare subito un messaggio forte. Dai seggi della Ciukotkaya in cui si era iniziato a votare quando era ancora notte a Mosca, affluenze record e percentuali bulgare per il presidente uscente. Poi il dato di Mosca delle 11: partecipazione doppia rispetto al 2012 e strada spalancata verso il trionfo.

Tutta la macchina organizzativa putiniana ha funzionato a dovere. Una macchina potente in cui potere esecutivo, amministrativo, grandi gruppi economici e mass-media hanno lavorato all’unisono per raggiungere l’obiettivo.

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Il punto debole, come era prevedibile è stata la Siberia dove la crisi sociale e economica è devastante. In Jakuzia e Promorsky Kray Putin non va oltre il 64% e il candidato comunista Pavel Grudinin sfonda oltre il 20%.

In tutta la pianura asiatica Grudinin va fortissimo, 7-8 punti sopra la media nazionale (11,8%). Ma più ci si avvicina agli Urali e alla Russia Europea la musica cambia.

A LIPEZK, TAMBOV, nella Repubblica Mordova Putin supera l’asticella dell’80%. L’apoteosi come previsto è nel Caucaso e in Crimea. Qui sia partecipazione sia il voto per Putin è oltre il 90%. Due regioni ad alto valore simbolico per la Russia visto la loro storia recente, in particolare la Crimea dove si è riconfermata la volontà della maggioranza della popolazione di riunirsi alla Russia.

«Ma non bisogna dimenticare che in queste due zone sono piovuti dal governo miliardi di rubli negli ultimi anni in termini di investimenti e infrastrutture. Era davvero difficile che i cittadini delle due regioni potessero voltare le spalle a un presidente che di fatto li mantiene» segnala il sociologo Ivan Ovsjannikov.

Anche dalle grandi città come Mosca e San Pietroburgo sono arrivati risultati confortanti per Putin, in linea con la media nazionale. Qui i candidati liberali Xenia Sobcak e Grigory Javlinsky sono andati meglio che nel resto del paese, ma restando pur sempre intorno al 2%. Ciò ha fatto dire alla «pasionaria» dei diritti gender Sobcak che «bisogna riconoscerlo: oggi i liberali in questo paese sono una minoranza e combattono una battaglia controcorrente».

Ma non è tutto oro quello che luccica.

PUTIN PER OTTENERE questo risultato ha dovuto mettere sul piatto della bilancia tutto il suo prestigio. Ha ricordato i successi economici dei suoi primi 10 anni, ne ha promessi di nuovi e ancora più eclatanti. Le manipolazioni hanno poi dato una mano.

Come anche l’inquilina di Downing Street: ironicamente uno dei leader di «Russia Unita» ha «voluto ringraziare Theresa May per il contributo dato al successo del presidente».

Una parte dell’elettorato ha puntato con Putin sull’«usato sicuro» ma i problemi economici del paese restano ancora tutti lì.

Lo sa benissimo anche lui visto che ieri ha voluto confermare che «la cosa principale di cui ci occuperemo è prima di tutto l’agenda interna. Innanzi tutto quello di garantire dei buoni tassi di crescita dell’economia russa conferendole un carattere innovativo, sviluppando l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la produzione industriale, come ho detto l’infrastruttura, e altre aree che sono importanti per far progredire il paese e innalzare gli standard di vita dei nostri cittadini» ha dichiarato il presidente. E nella notte dell’incoronazione ai giornalisti che chiedevano del nuovo governo (o dell’eventuale rimpasto) è voluto restare sul vago: «ci sto pensando» ha mormorato.

LE VOCI CHE CIRCOLANO sono quelle di un accantonamento di Dmitry Medvedev, che l’opinione pubblica ha da tempo smesso di amare, e il ritorno clamoroso dell’ex ministro delle Finanze Alexey Kudrin licenziato nel 2011 dallo stesso Putin. Dovrebbe essere lui, che sfruttando la «luna di miele» post-elettorale dovrebbe confezionare le medicine amare della riforma delle pensioni e di quella fiscale.

E si tratta probabilmente di uno dei pochi che possa affrontare il rompicapo di un rublo che resta debole malgrado la ripresa del prezzo del petrolio.