Era stato presentato come il più giusto tra i giusti del governo Gentiloni, il duro e puro che era riuscito a fermare «l’invasione dei migranti», il fautore del ritorno dell’ordine nel caos delle città. E invece l’ormai ex ministro degli Interni Marco Minniti è affondato nel collegio di Pesaro, storicamente rosso, sconfitto dal candidato fantasma del M5S Andrea Cecconi (finito al centro della bufera per la questione dei rimborsi non restituiti e promesso dimissionario in caso di elezione) e dietro addirittura ad Anna Maria Renzoni del centrodestra, forza di solito assente o quasi da queste parti. Una sconfitta incredibile, appena 38mila voti raccolti (27,7%), contro i 45mila di Cecconi (35%) e i 43mila di Renzoni (31,5%), nella città amministrata da Matteo Ricci e patria di Luca Ceriscioli, il governatore delle Marche.

Il risultato pesarese è da considerare come un voto punitivo per il Pd: Minniti era stato catapultato qui con l’obiettivo di vincere in scioltezza un collegio considerato sicuro e che invece si è rivelato una tomba per l’ex ministro che riuscirà comunque a tornare in parlamento (era anche in un listino proporzionale), ma che vede tramontare la sua stella, e l’impressione è che il suo consenso in questi mesi sia stato più un riflesso televisivo che un dato reale: quando si portano avanti politiche di destra, è più facile che alla fine gli elettori scelgano l’originale e non la copia.

E pensare che, durante la campagna elettorale, il Pd aveva pochi dubbi sulla conquista del collegio di Pesaro: il centrodestra di solito funge da comparsa, mentre il pentastellato Cecconi sembrava avesse fatto harakiri, annunciando che si sarebbe dimesso in caso di elezione. In questo senso, si vedrà come andrà a finire, ma una cosa è certa: al nord delle Marche hanno preferito votare un potenziale fantasma invece che un ministro renziano. A questo punto è a rischio anche la tenuta dell’intero Pd marchigiano, da qualche anno a trazione pesarese dopo anni di dominio della famiglia Merloni e della sua corte dei miracoli. Il sindaco Ricci e il governatore Ceriscioli si rimpallano la responsabilità del bagno di sangue, ma le loro colpe in realtà sono soltanto relative in un contesto che vede il centrosinistra crollare ovunque, anche dove credeva di essere invincibile.