Martedì sera. Mancano venti minuti alle otto quando il gip del Tribunale di Varese esce dalla camera di consiglio e legge l’ordinanza che ha appena firmato: i poliziotti e i carabinieri che il 14 giugno del 2008 hanno arrestato Giuseppe Uva adesso sono accusati di omicidio preterintenzionale. Lo hanno ucciso loro, questa la tesi del giudice, che, dopo aver respinto la seconda richiesta di archviazione presentata dalla procura, ha ordinato per gli indagati l’imputazione coatta.

Quando sente queste parole, Lucia Uva, la sorella di Giuseppe, quasi scoppia in lacrime. Guarda il suo avvocato, Fabio Anselmo, che le fa cenno di mantenere la calma. Non è facile. Poco dopo, fuori dal palazzo di giustizia, in una Varese umida e buia, ancora lontanissima dalla primavera, però, è proprio lui il primo a cedere all’emozione: «Ci vediamo in corte d’Assise», e il suo volto barbuto si illumina in un sorriso larghissmo. Lucia quasi non crede a quello che è appena accaduto. Ci sono voluti sei anni per arrivare a questo primo passo verso la verità. E sono stati sei anni lunghissimi: «Per me il processo comincia adesso», dice.

Il giorno dopo Lucia ha perso quasi completamente la voce, ma non la voglia di parlare. Quando il cronista le fa la prima domanda, interrompe e attacca a parlare. L’abusata metafora del «fiume in piena» raramente risulta azzeccata come in questa occasione.

Lucia
Il gip ha abbattuto le tesi del pm Agostino Abate…

Sì, abbattuto è il termine esatto. È un’ordinanza spettacolare, l’abbiamo attesa sei anni. È stata una soddisfazione immensa, non sa quello che ho dovuto passare: sono partita da sola in queste aule di tribunale. Poi è arrivato Fabio (Anselmo, ndr), i giornalisti, tante persone stupende che mi sono state vicine nei momenti difficili. Non è stato facile arrivare fino a questo punto, ma sono contenta. Molto contenta.

Abate ha sempre indagato su quello che è successo a Giuseppe dopo il suo arrivo al pronto soccorso e non si è mai curato di quello che può essere accaduto dentro la caserma dei carabinieri.

Abate ci ha umiliati. Già qualche mese fa Battarino gli aveva ordinato di indagare sui carabinieri e i poliziotti. E lui che ha fatto? Ha continuato a insistere sui medici. Ha «torturato» Biggiogero (l’amico di Giuseppe, arrestato anche lui quella notte del 2008, nda) durante l’interrogatorio. Spero che adesso gli tolgano questa inchiesta. Mi ha fatto tanto male quest’uomo: se gli uomini delle forze dell’ordine che hanno ucciso mio fratello dovranno togliersi la divisa, lui dovrà togliersi la toga. Magistrati del genere fanno male alla giustizia.

Pensa che adesso si possa arrivare alla verità su quello che è successo in caserma la notte del 14 giugno?

Devo essere sincera, non credevo nemmeno che si sarebbe arrivati ad accusare di omicidio gli agenti. Visto il modo in cui sono stata trattata in tribunale, ho temuto che non ce l’avremmo fatta. Ma ho lottato tanti anni per arrivare a questo punto, non mi fermerò certo adesso. Ho visto cose vergognose, sono caduta tante volte ma mi sono sempre rialzata. La verità verrà fuori alla fine. Ne sono convinta.

Continuerete a costituirvi parte civile?

Assolutamente sì. Io non posso perdonare nulla ai pm, mi ha fatto passare sei anni di inferno. Mi ha cacciato dall’aula, mi ha dato della bugiarda, mi ha accusato di aver manipolato il cadavere di mio fratello. Ho subìto le umiliazioni peggiori che possa subire una donna come me: ho 54 anni, sono madre di quattro figli e mi hanno ammazzato un fratello. Arrivare in fondo a questa storia è un mio diritto: devono venire a galla tutte le verità nascoste.

Nei giorni scorsi in Parlamento si è discusso del reato di tortura. Hai seguito la vicenda?

Onestamente l’ho fatto poco, ero molto concentrata su questa udienza. Credo semplicemente che sia ora di dire basta con la violenza in divisa, basta con le licenze di uccidere. Io sono distrutta. Sono uscita ferita anche ieri (martedì scorso, per chi legge, nda). Abate mi ha anche accusato perché sono andata a parlare con il ministro Cancellieri e con papa Francesco. Stava facendo un processo a me, come ha sempre fatto, d’altra parte. Avrebbe dovuto fare solo il suo lavoro, lui. Ci sono stati tanti tentativi di nascondere la verità, di fermarci in ogni modo possibile. Ma non ce l’hanno fatta».