Quando ci ha detto la sua sulle deprecabili parole di Maurizio Sarri al termine di Napoli-Inter, Gabriele Piazzoni era su un treno che da Milano lo portava a Roma per la conferenza stampa di lancio della mobilitazione nazionale dell’Arcigay (di cui è segretario nazionale), prevista per il prossimo 23 gennaio. In vista dell’inizio della discussione inerente la proposta di legge sulle unioni civili (in Senato da giovedì 28), l’Arcigay scenderà in oltre 70 piazze italiane «per chiedere a Parlamento e Governo di accompagnare il Paese verso l’obiettivo dell’uguaglianza». E intanto, mentre spuntano moralisti dell’ultima ora (molti di quelli che fino a ieri sbraitavano contro le unioni civili), delle molte parole spese sul caso Sarri-Mancini nessuna ha detto che essere omosessuale (frocio per qualche ignorante) non è un insulto.
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La prima cosa che ha pensato dopo quelle parole?

Ho subito pensato a quanti ragazzi e ragazze si saranno sentiti colpiti, nel profondo. Da adolescente giocavo a pallanuoto e purtroppo so bene di cosa parlo, so cosa si prova: sono cose che pesano perché non c’è possibilità di difesa. Non ti si dà dello stronzo, è qualcosa di più intimo e doloroso.

Qualcuno ha avanzato giustificazioni, riconducendo tutto a un «gergo comune»…

È questo il cuore del problema, perché non è una cosa normale: così come non lo è dire «sporco negro» o frasi antisemite. La differenza è che negli altri casi assistiamo a vere ondate di indignazione, a squalifiche di curve e persone. Rispetto alla questione di genere no, ed è intollerabile.

È un problema culturale, chiaro. Ma il contributo delle istituzioni sportive è sufficiente?

Coni e Figc devono investire sui processi formativi, non basta prendere la parola quando la situazione precipita. Devono essere protagonisti di un cambiamento nel mondo dello sport, ma finora credo non abbiano manifestato la necessaria sensibilità, ignorando che è un grande limite per la crescita dei nostri vivai. D’altronde, non è un paradosso che a condannare l’accaduto ci siano persone come Carlo Tavecchio, non certo estraneo a uscite discriminatorie? Non ci stupiamo quindi se qualche giovane atleta dovesse emulare i professionisti. Quello che non si è capito è che sono vittime di questa situazione sia chi subisce la discriminazione, sia chi la compie – non avendo quest’ultimo avuto modo di formarsi diversamente.

Si tratta di un Sarri bis: già nel marzo 2014, da tecnico dell’Empoli, lamentava la scarsa fisicità del calcio italiano, definendolo «uno sport per froci». Sono più gravi le parole o il fatto che abbia potuto ripeterle senza incorrere in provvedimenti?

Non voglio forche per lui, ma la gravità è dovuta al fatto che se non ci fosse stata questa tacita tolleranza forse oggi non l’avrebbe ridetto. Meriterebbe una sanzione, anche se non so quale, ma ho fiducia nella giustizia sportiva; e, soprattutto, sarebbe opportuna un’ammenda pubblica. L’ho già detto (ieri pomeiggio all’emittente romana ReteSport, ndr), che scenda in strada per i nostri diritti sabato prossimo: c’è una piazza organizzata anche a Napoli.