Il risultato del voto britannico a favore del Get Brexit done è arrivato in pieno svolgimento del Consiglio europeo a Bruxelles. Subito, il presidente Charles Michel, che tra l’altro ha rappresentato la Gran Bretagna al Consiglio in assenza di Boris Johnson, ha precisato: «Siamo pronti per la tappa seguente». Il Consiglio si preoccupa ora della “nuova relazione” tra la Ue e Londra. Il 31 gennaio 2020, dopo tre rinvii, la Gran Bretagna, dopo 47 anni, esce dalla Ue e diventa “paese terzo”, anche se, per tutto il 2020 – il periodo di transizione previsto fino al 31 dicembre – le norme europee vengono applicate e Londra dovrà rispettare tutte le regole (e anche pagare quello che deve). «La cosa più importante – ha affermato la ministra francese degli Affari europei, Amélie de Montchalin – non è il modo in cui divorziamo ma ciò che costruiamo dopo».

LA UE HA INTENZIONE di «stabilizzare una relazione più forte possibile». Ma non è certo che questa sia anche l’intenzione di Boris Johnson. Il premier britannico vorrebbe che l’accordo sulle relazioni future venisse concluso entro la fine del periodo di transizione, cioè a fine 2020 (entro luglio, Londra può chiedere l’estensione di questo periodo). Per Bruxelles questi tempi sono irrealistici. «Faremo tutto quello che possiamo per ottenere quello che chiamo il minimo vitale per stabilire una relazione con la Gran Bretagna nei tempi previsti», ha affermato il negoziatore Ue, Michel Barnier. Per arrivare al divorzio, ci sono voluti più di due anni e mezzo di trattative: Boris Johnson ha modificato soltanto la parte relativa all’Irlanda e ai vaghi impegni politici sulle “relazioni future”, ma ha accettato tutta la parte dell’accordo sul divorzio che era stata negoziata da Theresa May, che l’ha preceduto a Downing Street.

IL NUOVO NEGOZIATO avverrà sotto la pressione degli Usa. Donald Trump promette a Londra un «enorme accordo commerciale, più favorevole di quello con la Ue». La preoccupazione della Ue è di evitare che si instauri in Gran Bretagna uno spazio di dumping – sociale, ambientale e fiscale. Il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, che è in prima linea, mette in guardia: l’accordo di uscita «significa una Brexit ordinata, no hard Brexit, un’area comune per viaggiare e una protezione reciproca dei diritti dei cittadini». Nel futuro, «un commercio senza tariffe, senza concorrenza sleale, sociale e ambientale». Angela Merkel è preoccupata: «Ci sarà un concorrente alle nostre porte». Per il commissario al Mercato unico, Therry Breton, «bisogna ricostruire la relazione con la Gran Bretagna che è un partner importante, le norme sociali, ambientali della Ue devono applicarsi negli scambi».

Londra seguirà il modello della Norvegia, quello della Svizzera o del Canada, oppure costruirà una strada originale nelle sue relazioni future con la Ue? Ricostruire la relazione attraverso l’analisi e l’eventuale revisione di tutti gli accordi è un’opera da titani, che difficilmente sarà conclusa in 11 mesi. Così, resta aperta la minaccia di un no deal. L’hard Brexit, un’uscita senza accordo, è ancora una possibilità che preoccupa Bruxelles. «Fuori dalla Ue significa perdere vantaggi – avverte Manfred Weber, capogruppo Ppe – il futuro accordo commerciale sarà ancora più complesso dell’accordo di uscita».

La Brexit diventerà un modello per altri? Ieri, l’eurodeputato olandese Geert Wilders (Pvv, estrema destra) ha twittato: «Next: Nexit!», (il prossimo: Netherlands).

Intanto, dal 1° febbraio prossimo, la Brexit avrà conseguenze sulla composizione del Parlamento europeo che, con l’uscita dei 73 eurodeputati britannici, diventerà più a destra di adesso. Il gruppo Ppe non cambia (ma cresce di 5 deputati, eletti ma in lista d’attesa per la sostituzione di parte dei seggi britannici). L’estrema destra di Id (dove c’è la Lega) guadagna 3 seggi, supera i Verdi, che perdono 11 Greens e diventa il 4° gruppo. Batosta per i centristi di Renew Europe, che perdono i 17 Lib-dem, solo compensati da 6 in lista d’attesa. S&D perde i 10 seggi occupati dal Labour (ne guadagna 4 con la nuova spartizione). I Conservatori e Riformisti perdono i deputati Tory (ma guadagnano 3 seggi), dalla Gue esce il deputato nord-irlandese del Sinn Féin, i Non iscritti (M5s) perdono il grosso gruppetto del Brexit party.