La tensione che nelle ultime settimane ha caratterizzato il dibattito bolognese ci chiama a un atto di responsabilità. I fatti accaduti nella zona universitaria, così come i conflitti che attraversano la relazione tra spazi autogestiti e istituzioni, non possono essere affrontati compiacendo la deriva alla radicalizzazione dei conflitti e scegliendo banalmente da che parte stare. Dobbiamo provare a cambiare schema di ragionamento, per saper interpretare la complessità di quanto sta accadendo superando la tentazione delle analisi semplicistiche e dello scontro muscolare.

NON SI GESTISCE in questo modo il conflitto, semmai lo si esaspera. E d’altro canto guai a rimuovere il conflitto dall’orizzonte della vita sociale perché esso rappresenta da sempre l’opportunità di cambiare, di includere, di migliorare. E  non può essere tradotto esclusivamente in un bisogno di sicurezza a cui si risponde con la militarizzazione dello spazio pubblico: è un ragionamento che non ci appartiene e che sappiamo essere sì efficace in termini propagandistici, ma tutt’altro che risolutivo sul piano della realtà. Le camionette della polizia in Piazza Verdi possono essere considerate il monumento eloquente di questa inefficacia. Non solo: questo ragionamento rischia addirittura di essere un profondo arretramento se la militarizzazione viene fatta a discapito di un centro sociale, come hanno raccontato nelle passate settimane le cronache locali.

DOBBIAMO SAPER raccogliere quello che di buono sta emergendo dopo la pessima giornata della celere all’università: 600 studenti, studentesse, cittadine e cittadini, ad esempio, che discutono in una grande assemblea sono un fatto straordinario, che ci deve impedire di derubricare quello che è successo con giudizi arroganti, semplicistici o addirittura denigratori, che assimilano ogni antagonismo alla delinquenza. Allo stesso modo i lavoratori dell’università chiedono unanimemente di aprire un confronto sulla zona universitaria, ma coinvolgendo tutta la città. Sono solo due aspetti, ma importanti. Allora proviamo davvero a cambiare schema.

METTIAMOCI IN GIOCO, perché le categorie che stiamo usando non sono evidentemente sufficienti per definire e affrontare la questione. Ragioniamo sul concetto di “sicurezza” nel tempo della crisi, ad esempio; nell’epoca delle nuove povertà, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale anche di chi fino a poco tempo fa riteneva di poter ambire a una condizione che oggi vede preclusa. Ragioniamo su cosa significhi pensare a spazi sociali,  per la cultura e l’aggregazione: quanto siano importanti nell’epoca della crisi delle ideologie e della rappresentanza; in una fase in cui tutti i punti di riferimento culturali sono saltati e nello stesso tempo è urgente ricostruirne di nuovi.

Ragioniamo su quali strade occorra esplorare per garantirne l’esistenza, la libertà e la convivenza con il tessuto sociale. E ragioniamo sui muri – fisici e simbolici – che nella nostra città vengono eretti, in una sinistra consonanza con una retorica dell’esclusione che sta ammalando la politica in tutto il mondo. Muri non necessariamente fatti di mattoni ma che comunque tracciano confini, delimitano un “dentro” e un “fuori” e fissano requisiti (di censo, condizione, origine) per l’accesso allo spazio pubblico, alla Cultura, alla socialità, al welfare. Perché è urgente mettere un argine all’ideologia dell’individualismo, della piena realizzazione di se stessi solo in termini di affermazione personale, senza considerare la sorte di chi ci sta intorno; perché le sirene del populismo urlano forte.

DI QUESTO E DI MOLTO ALTRO c’è da discutere e da pensare, anche sperimentando pratiche di partecipazione innovative ma soprattutto fissando obiettivi che comprendano la messa in discussione dell’attuale e non la pigrizia di rifarsi a  schemi esistenti e i cui limiti sono sotto gli occhi. Di ricette non ce ne sono, e non dovrebbero esserci nemmeno etichettature automatiche: il discrimine è il ricorso alla violenza, per il resto non si può dar nulla per scontato. Ma se non cresce il livello del dibattito rischiamo di spalancare il campo ai meno responsabili, e a chi da questa tensione cerca di trarre un dividendo in termini di bassa politica, con conseguenze poco prevedibili e decisamente preoccupanti.

*presidente Arci Bologna e presidente Arcigay Il Cassero