La nascita del gruppo parlamentare unificato mi piace pensarla come il taglio del nastro per inaugurare il cantiere della sinistra nuova.

Sappiamo che troveremo tante macerie, soggettive – eredità di sconfitte, arretramenti, traversie e divisioni che hanno creato sfiducia e lacerato relazioni – e macerie oggettive – analisi della società e dell’economia inadeguate rispetto ai cambiamenti intervenuti con globalizzazione e finanziarizzazione, sradicamento dai territori.

Ma sappiamo anche che guardandoci bene intorno troveremo piccole case sparse costruite da singoli e gruppi, nuclei di una società e di un modello di sviluppo nuovi, sogni e sperimentazioni di un’altra agricoltura e di un’altra economia, sedi di incontro e di pratiche di solidarietà tra gli esseri umani, di accoglienza e convivenza, germi di un nuovo localismo che vuole ricostruire partecipazione, autogestione e democrazia dal basso.

Tutto questo fa parte del nostro mondo anche se non sempre ama definirsi di sinistra o fare politica come la intendiamo noi.

Da quelle macerie dobbiamo saper estrarre quanto è valido ed utilizzabile, dalle sperimentazioni quanto è generalizzabile per costruire il nuovo.

L’operazione non sarà certo facile perché da diversi anni arretriamo e, soprattutto, perché negli ultimi tempi abbiamo subito duri colpi proprio da chi veniva dalla sinistra che conoscevamo. Questo ci ha colpiti ancor più profondamente.

Ma attenzione, Renzi ha vinto una battaglia, non la guerra. Ha scalato un partito democratico che si era predisposto ad essere scalato, lo ha fatto con una spregiudicatezza alla quale non eravamo abituati, ha preso il potere con una rapidità ed una potenza espansiva inedite nella nostra storia, lo esercita ricattando e minacciando, eliminando gli avversari e premiando i neo fedeli.

Colpiti dall’avanzare di questo ciclone, stampa e media, sono diventati il suo megafono. Adesso vanta il fatto che anche l’Italia, rimasta insieme a Cipro e Finlandia tra i tre paesi europei ancora col segno negativo nel Pil, esce dalla crisi (ma adesso nessun paese europeo è rimasto col segno meno) e cerca di sfruttare il clima di fiducia che ha contribuito a creare alternando mance elettorali in moneta sonante ed iniezioni di fiducia che agiscono sull’immaginario.

Ma, c’è un ma.

Adesso che gli effetti si stanno manifestando nella loro interezza appare, ed ancor più apparirà nei prossimi mesi, che i risultati sono ben magri. Il dialogo con una Confindustria mendicante, che sa solo chiedere contributi per galleggiare riducendo costo del lavoro e tasse senza innovare, costa diversi miliardi, ma non crea sviluppo. Punta all’oggi, al consenso ed al contingente, ma non ha respiro strategico. E’ una alleanza a perdere perché incapace di pensare ad un progetto industriale per il futuro.

La “bolla lavoro”, alimentata dal bombardamento di interventi e dal nuovo dinamismo del rottamatore, si sta fermando sulla soglia stabile di 200.000 occupati. Tanto rumore e tanti soldi per tanto poco. In parallelo, si sta sgonfiando anche la bolla elettorale: il Pd gira e rigira è sempre fermo attorno al 30% (da destra arrivano simpatie interessate, ma pochi voti appena sufficienti a compensare le fughe verso l’astensione), ricomincia a sentire il fiato sul collo del M5S ed il malessere serpeggia sempre di più nei territori.

Il linguaggio renziano del bullismo, che all’inizio poteva persino apparire simpatico di fronte alla noia della politica, adesso comincia a stancare, ad apparire poco dignitoso ed a riportare alla memoria il ridicolo in cui alla fine era caduto Berlusconi. Non pochi cominciano a rimpiangere qualità e figure politiche del passato delle quali si potevano non condividere le posizioni, ma dalle quali c’era da imparare.

[do action=”citazione”]Forse non siamo destinati a morire demorenziani.[/do]

Da qui possiamo e dobbiamo partire per costruire la sinistra nuova, dalla convinzione che il renzismo non è invincibile.

E’un punto importante per il nuovo cantiere e ci può aiutare ad affrontarlo il guardare non solo vicino a noi, ma anche fuori, in Europa e nel mondo. Le mutazioni profonde – migrazioni, mutamenti climatici, riassetto geopolitico in particolare nel Mediterraneo – preparano un futuro che è tutto da scrivere.

Questo futuro potrebbe anche riportarci indietro ed a destra. In Europa pensavamo di esserci messi alle spalle questi pericoli grazie allo sviluppo delle esperienze socialdemocratiche e del welfare, grazie alla riduzione delle disuguaglianze prodotta dai trenta gloriosi anni del dopoguerra.

Adesso i “trenta gloriosi” sono alle spalle, stiamo vivendo i “trenta terribili” della controffensiva del capitale finanziarizzato ed in questa fase le socialdemocrazie hanno poco da dire perché si sono trasformate in strumenti accessori e subordinati.

Per fortuna, dove le conseguenze di quelle politiche si manifestano nelle forme più feroci stanno nascendo anche le uniche esperienze di contrasto e di cambiamento da sinistra.

Così mentre nell’area progressista le forze socialdemocratiche ristagnano ed arretrano, le speranze di futuro si stanno incarnando nelle nuove forze che nascono. Non sempre portano il segno di sinistra, ma quello della novità, dell’entusiasmo, della radicalità delle politiche di giustizia sociale che propongono. La nuova forza dovrà collocarsi in questo scenario.

Possiamo farlo con i nostri problemi e la nostra storia, da qui e dall’oggi, senza pensare di tornare indietro per ripartire da dove eravamo.

Possiamo farlo anche avendo una grande ambizione: per la storia della sinistra italiana e per la nostra stessa collocazione geografica potremmo essere il punto di congiunzione tra le esperienze della Grecia, della Spagna, del Portogallo e quella della Germania per produrre, da sinistra, una crisi delle socialdemocrazie e generare una spinta alla costruzione, in Europa, di una sinistra ampia e capace di invertire la rotta.