Arriveranno stamattina a Messina i 182 naufraghi a bordo della Ocean Viking, la nave di soccorso gestita dall’ong francese Sos Méditerranée e da Medici senza frontiere. Il via libera dal Viminale all’ingresso in porto è partito domenica sera, la traversata ha richiesto più tempo del previsto per le avverse condizioni meteo. La Commissione europea coordinerà la ripartizione dei migranti tra i cinque paesi che si sono fatti avanti proprio alla vigilia del vertice di Malta di ieri. «L’Italia apre un porto alle persone salvate in mare, è un segno di speranza» il commento sui social di Msf.

Tra i 182 ci sono 14 bimbi. La più piccola di appena 11 giorni, 7 li ha passata sulla nave di salvataggio. È la seconda volta che l’Ocean Viking ottiene l’autorizzazione allo sbarco dei naufraghi da quando al ministero dell’Interno non c’è più Matteo Salvini ma Luciana Lamorgese: era già successo il 14 settembre ma allora vennero trasbordati sulle motovedette della Guardia costiera per approdare poi a Lampedusa. Anche in quel caso ci fu la ricollocazione gestita dall’Ue, destinazione Germania, Francia, Portogallo, Lussemburgo più una quota in Italia.

I migranti soccorsi sono arrivati a 182 attraverso tre differenti salvataggi. I primi due, di 48 e 61 persone, risalgono al 17 settembre. Lo stesso giorno il Centro di coordinamento di Tripoli aveva assegnato alla nave il porto di sbarco di Al-Khoms, i volontari rifiutarono: «La Libia non può essere considerato un porto sicuro. Le persone salvate nella nostra nave stanno fuggendo da quel paese e corrono seri rischi di essere vittime di abusi, torture e violenze di ogni tipo se dovessero tornare indietro». Due giorni dopo la Guardia costiera libica riportò indietro un gruppo di migranti al punto di sbarco di Abusitta: di fronte al tentativo di sottrarsi a una nuova incarcerazione nei centri di detenzione, i militari spararono ad altezza uomo. Un sudanese morì per le ferite all’addome davanti agli occhi dei funzionari Onu dell’Oim. A bordo dell’Ocean Viking stamattina arriverà a Messina una donna con i suoi quattro figli, ci sono voluti tre tentativi a vuoto prima di riuscire a scappare definitivamente dall’inferno libico.

Salvini ieri è tornato a tuonare contro l’autorizzazione allo sbarco con i soliti toni apocalittici: «Il governo del tradimento apre le porte a un’altra ong. Gli italiani non lo dimenticheranno». Ma è Medici senza frontiere che spiega cosa è successo negli ultimi due anni di linea dura in tema di migrazioni: «L’incontro a La Valletta è un’occasione per i leader europei di resettare politiche letali che sono costate innumerevoli vite. È vergognoso che l’Europa abbia accettato di rendere normale la negoziazione degli sbarchi caso per caso, mentre per oltre un anno migliaia di uomini, donne e bambini vulnerabili in fuga dagli orrori della Libia rimanevano bloccati in mare», ha spiegato il direttore generale di Msf Gabriele Eminente.

Nei 15 mesi successivi alla prima chiusura dei porti, ha poi aggiunto Eminente, ci sono stati altri 30 casi di stallo per le navi di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, per un totale di 261 giorni, quasi nove mesi, in cui circa 4 mila uomini, donne e bambini vulnerabili sono rimasti bloccati in mare mentre i leader europei «giocavano con il loro destino». Nei primi nove mesi dell’anno circa 658 persone hanno perso la vita cercando di arrivare in Europa. «Ogni giorno, ogni ora, in cui una delle poche navi umanitarie rimaste in mare viene costretta a fare un viaggio più lungo per sbarcare le persone, o viene bloccata in attesa di un porto sicuro, è un giorno, un’ora in più in cui non può soccorrere i naufraghi nella zona di ricerca e soccorso – prosegue Msf -. Per quanto sia importante avere un meccanismo predeterminato di sbarco, qualunque decisione presa a La Valletta resterà solo teoria finché i leader europei non si impegneranno a mettere le vite delle persone prima di tutto il resto». Medici senza frontiere chiede quindi «la ripresa di un sistema di ricerca e soccorso europeo proattivo e dedicato, un meccanismo permanente sugli sbarchi che tuteli i diritti dei naufraghi e la fine dei ritorni forzati in Libia, facilitati dalla stessa Unione europea».