Il tema del Brexit non era mai entrato nella campagna elettorale spagnola fino a ieri, ultimo giorno prima della giornata di riflessione. Pp, Psoe e Ciudadanos credono di poter approfittare della paura provocata dall’uscita del Regno Unito e fomentata da tutti i media presi alla sprovvista da un risultato considerato impossibile. «Moderazione» e «stabilità», contro «populismo» e «incertezza», hanno ripetuto in coro Rajoy, Sánchez e Rivera durante tutta la giornata. Ma è probabile che, seppure l’effetto ci fosse, conterà molto poco. A ogni buon conto, di prima mattina sia Izquierda Unida sia Podemos si sono affrettati a ribadire la propria posizione europeista. La portavoce di IU al parlamento europeo Marina Albiol ha detto che il Brexit è «il frutto di politiche economiche austericide dettate da Bruxelles e Berlino» e ha fatto un appello per «costruire un nuovo modello d’integrazione che metta le classi popolari al centro delle decisioni». «Una delle componenti che hanno motivato il Brexit è il modello neoliberale della Ue. Però la soluzione non è un’uscita unilaterale in chiave nazionalista che alimenta la xenofobia».

«Il referendum non è il problema, ma il sintomo» – scriveva invece Alberto Garzón su Twitter. «Il sintomo di una Ue costruita per i mercanti contro i popoli. Il vero problema è la crescita della politica dell’odio al diverso in tutta Europa».

Pablo Iglesias invece qualificava la giornata come «un giorno triste per l’Europa», aggiungendo che «dobbiamo cambiare direzione» perché «da un’Europa giusta e solidale non se andrebbe nessuno». «Oggi come mai c’è bisogno di lavorare per un’Europa più democratica che si lasci indietro le politiche d’austerità, un’Europa di cui sentirci orgogliosi», aggiungeva sempre su Twitter la sindaca di Barcellona Ada Colau.

Per gli indipendentisti come il presidente catalano Puigdemont, il Brexit è «un’opportunità per la Catalogna». In Scozia ha vinto l’opzione remain col 62% dei voti: «se la Scozia fosse stata indipendente avrebbe votato per rimanere», ha detto. La via del referendum scozzese è la preferita dagli indipendentisti catalani. E ha sottolineato che la metà più uno è una maggioranza sufficiente per prendere una decisione, in chiara allusione ai dubbi di chi pensa che per un’eventuale referendum di autodeterminazione catalano sia necessaria una maggioranza più forte.

Il presidente Rajoy ha fatto una dichiarazione in mattinata per tranquillizzare, secondo lui, sia i mercati, sia le imprese che fanno affari con il Regno Unito, sia gli spagnoli che ci lavorano, i cui diritti «per ora» non sono in discussione, ha ricordato. Si stima che ce ne siano più di 200.000, dei circa 2 milioni di spagnoli che vivono all’estero, quasi tutti espatriati in cerca di lavoro. La loro situazione legale quando si formalizzerà l’uscita è una grande incognita. Gli inglesi sono anche i principali acquirenti stranieri degli immobili spagnoli: sono il 21%. Più di 15 milioni di britannici, un quarto del totale, sono i turisti che sono atterrati in Spagna nel 2015. L’indebolimento della sterlina legata a un’uscita dalla Ue sarebbe quindi un bel colpo per l’economia spagnola. Infine i britannici che vivono in Spagna – la maggior parte pensionati – sono circa 280.000. Per loro presto potrebbe non essere più disponibile la sanità gratuita.
Di una cosa comunque Rajoy può essere soddisfatto: l’irruzione del Brexit in campagna elettorale ha sommerso lo scandalo che coinvolge il suo ministro degli interni. Ieri publico.es ha pubblicato un nuovo audio delle conversazioni di Fernández Díaz e del capo dell’ufficio antifrode catalano de Alfonso. Qui parlavano delle false accuse all’ex sindaco di Barcellona Xavier Trias di avere conti segreti e all’ex presidente catalano Artur Mas di avere una figlia segreta pagata dalla Generalitat catalana. «Ai suoi ordini, ministro», è una delle frasi di de Alfonso.