Tadeusz Mazowiecki non ci sarà alle celebrazioni per il 25esimo anniversario della Polonia «libera» e sicuramente, insieme a Lech Walesa, sarebbe stata la persona più autorevole e rappresentativa sul palco delle autorità. Si è spento all’età di 86 anni e con lui se ne va per sempre un pezzo della storia polacca. «È stato uno dei padri della Polonia libera e indipendente», ha detto il ministro degli esteri Radoslaw Sikorski dopo aver appreso la notizia della sua morte.Visibilmente commosso invece il presidente della repubblica Bronislaw Komorowki, di cui Mazowiecki è stato consigliere dal 2010: «È morto un uomo – ha dichiarato ai cronisti – che nei momenti cruciali della nostra storia recente ha avuto il coraggio di essere saggio». A Varsavia sono arrivati messaggi di stima e cordoglio da tutto il mondo, a riprova della sua statura di politico e intellettuale di livello internazionale.
È stato sempre un uomo libero Mazowieczki, libero politicamente e libero dalle tentazioni del potere e per questo rispettato da tutti. Oggi molti commentatori lo indicano come il miglior primo ministro che la Polonia abbia avuto. Di sicuro è stato il principale architetto della «tavola rotonda» (dove sono state messe le basi per la costruzione della Terza repubblica polacca) e anche il primo presidente del consiglio non comunista della Polonia post-comunista. È stato lui a prendersi la responsabilità di traghettare il Paese verso l’economia di mercato, avallando la «shock therapy» dell’allora ministro dell’economia Balcerowic. E per questo ne ha pagato le conseguenza in termini elettorali perdendo le elezioni presidenziali del 1990.
Nato a Plock nel 1927, di nobile famiglia, si è laureato in giurisprudenza all’università di Varsavia e da allora non ha mai smesso di essere protagonista della vita pubblica polacca. Nel 1955 viene espulso dall’organizzazione, comunque legata al regime di Varsavia, «Pax Cattolica», in quanto sospettato di appartenere a un gruppo di opposizione interna. Nel ’57 è tra i fondatori del club «intelighenzia Cattolica» ed è in quel periodo che viene eletto deputato tra le fila della Znak, un piccolo partito cattolico, fino a quando non viene espulso dal parlamento (1970) dopo aver chiesto spiegazioni per la morte di decine di operai durante le proteste ai cantieri navali di Danzica. Ed è lì, a Danzica, nel 1980 che Tadeusz Mazowiecki dà il suo contributo maggiore in termini di lotta e strategia politica, dando vita alle «tesi» che portarono alla creazione del primo sindacato indipendente della Polonia: «Solidarnosc». Nel 1981 diviene il direttore della rivista Tygodnik Solidarnosc, chiusa dal regime del generale Jaruzelski dopo l’introduzione della legge marziale nel dicembre di quello stesso anno.
Era un uomo politico prudente, troppo prudente secondo molti dei suoi detrattori. Non amava gli scatti in avanti improvvisi, prediligendo il dialogo alla contrapposizione. Il suo pensiero politico era pervaso da un profondo senso di responsabilità e a chi lo tacciava di «lentezza» rispondeva che era l’unico modo per tenere a bada la testa calda dei polacchi. Non è un mistero che il suo animale preferito fosse la tartaruga. Mazowiecki era un grande idealista e ha combattuto strenuamente per la conquista delle libertà civili e l’emancipazione sociale. Per lui la politica era un mezzo e non un fine.
Da uomo politico e da intellettuale ha sempre cercato la via del compromesso ma sulle questioni si principio non è mai sceso a compromessi, come quando nel 1995 ha rassegnato le dimissioni da capo della commissione Onu per l’ex Jugoslavia, in aperta polemica con l’immobilismo della comunità internazionale dopo il massacro di Srebrenica. «Oggi la Polonia piange uno dei suoi figli migliori – ci tiene a dire un passante per le strade della capitale – era un uomo onesto e questa qualità è veramente difficile trovarla tra i politici attuali».
Forse la Polonia di oggi, modellata dalle regole del neoliberismo americano, non è quella che aveva sognato Mazowiecki: troppe le disuguaglianze sociali crescenti e le spinte centrifughe verso l’emarginazione a scapito dell’inclusione. Forse, però, la sua onestà servirà da esempio alle nuove generazioni che studiano Solidarnosc nei libri di storia.