Settimane di scontri, liti finite sui giornali, assedio della maggioranza alla assessora al bilancio decisa a tagliare la spesa del comune di Roma, i conti pubblici della Capitale che nel frattempo ballano pericolosamente. Alla fine un incontro freddo, ieri mattina, nello studio del primo cittadino e la presa d’atto dell’impossibilità di proseguire assieme. A dieci mesi dalla formazione della giunta, non c’è più la fiducia tra il sindaco Ignazio Marino e Daniela Morgante. Che se ne va. Senza essere cacciata, ma come se.

È la vittoria del Pd romano, ed è anche l’ultima carta che un sindaco in grande difficoltà può giocare. Non potrà più permettersi di sbagliare: ha tenuto per sé la delega e promette di chiudere il bilancio in giunta entro pasqua. Per poi tentare di farselo approvare dal consiglio comunale prima delle elezioni europee. Tempi troppo stretti, sarà assai difficile. E dopo, se a Roma il Pd dovesse segnare il passo rispetto al risultato positivo che Renzi si aspetta nel resto del paese il 25 maggio (i sondaggi un po’ lo annunciano), per Marino la strada sarebbe tutta in salita. Dovrebbe rassegnarsi a un rimpasto che fin qui a voluto evitare, dare spazio alla maggioranza di renziani e franceschiniani che ha preso il controllo del partito nella capitale. Il bilancio molto probabilmente lo scriverà una giunta diversa.

Un capolavoro di ipocrisia il comunicato congiunto di sindaco ed (ex) assessora, dove si parla di «decisione condivisa di interrompere la collaborazione». «Il contributo di Daniela è stato prezioso e ha consentito a Roma Capitale di tornare su binari virtuosi», dice Marino. «Ringrazio moltissimo il sindaco per il quale nutro profonda stima per la straordinaria esperienza umana che mi ha consentito di svolgere», replica Morgante. Che da «tecnica» – è magistrato della Corte dei conti – ha impostato un lavoro sul bilancio all’insegna del rigore. Obiettivo dichiarato non alzare di troppo la nuova tassa sui rifiuti e i servizi indivisibili e abbassare un po’ l’aliquota addizionale Irpef, che al momento colloca Roma tra le prime tre città più esose d’Italia. Un risultato che Morgante immaginava di ottenere tagliando drasticamente le spese per la cultura, le spese per i dipendenti e i contratti di servizio, specie quelli con le cooperative sociali (che già protestano). Troppo per la maggioranza di Marino, che ieri ha festeggiato la defenestrazione con un comunicato congiunto Pd-Sel-Lista civica-Centro democratico, in cui si precisa di essere venuti a conoscenza delle dimissioni solo «dalle agenzie». «Auspichiamo – scrivono i partiti che controllano il consiglio comunale di Roma – che il lavoro per dare il bilancio alla città prosegua nel confronto con le forze politiche che sostengono il sindaco e con l’attenzione e il dialogo doveroso con le associazioni datoriali, le organizzazioni sindacali e gli attori sociali». Evidente il riferimento polemico all’abitudine di Morgante di procedere senza troppi confronti né concessioni.

Più esplicito e ottimista il capogruppo di Sel Peciola in una dichiarazione individuale, diversa da quella firmata con gli altri partiti della maggioranza: «Il ministero dell’economia esce dalla giunta. Ora il bilancio 2014 si occupi delle questioni sociali della città». Assai più preoccupato e di parere opposto il consigliere radicale Riccardo Maggi, eletto nella lista civica Marino: «La presenza dell’assessore Morgante segnava una discontinuità con la gestione finanziaria del comune di Roma negli ultimi anni, quando una folle gestione delle risorse ha prodotto un debito spaventoso. Non vorrei che il suo congedo sia frutto delle resistenze al risanamento economico e finanziario della Capitale».