Sembra l’ultimo giorno dell’umanità, è l’ultimo frammento di un incubo lungo quattro anni. Donald Trump sta per dissolversi nell’aria ma l’aria è quella del crollo di un regime, Washington è desertificata e blindata come non mai, truppe in divisa bivaccano nei palazzi di Pennsylvania Avenue circondati di barriere, filo spinato e metal detector.

Non era questa l’american carnage esorcizzata dal presidente quando, quattro anni fa, mise la mano sulla bibbia e giurò di combattere ogni nemico interno ed esterno. No, la carneficina americana era ciò che Trump diceva di voler fermare. Il suo Make America Great Again invece ne ha prodotta un altro po’ a Capitol Hill.

Come già con altre tradizioni della buona educazione democratica, re Donald straccia il galateo e dopo 150 anni sarà il primo presidente a disertare il giuramento del successore. Niente incontro nel Portico Nord tra presidenti uscente ed entrante, altra cortesia tradizionale: invece di Donald e Melania, Biden e signora troveranno alla Casa bianca il maggiordomo di palazzo – se non altro un professionista, Trump lo prelevò da un suo albergo.

Niente messaggio alla nazione, né in tv come si usa dai tempi di Truman né per iscritto come si usa dai tempi di George Washington. Tra parenti e fedelissimi, resti di un’amministrazione in disarmo, lunedì il presidente – che non appare in pubblico da una settimana – ha registrato una comunicazione: muro anti-immigrati, taglio delle tasse e pace in Medio Oriente sarebbe il contenuto, così stanco da andare in differita. Persino Nixon parlò in diretta alla nazione, inseguito dal Watergate proprio come Trump è inseguito dal Capitolgate.

Il trasloco del regime avverrà fisicamente nelle sei ore che l’Inauguration Day dedica alle cerimonie come la visita al «cimitero degli eroi» di Arlington. Persino le grandi pulizie saranno più grandi e più costose (mezzo milione di dollari): c’è del Covid alla Casa bianca, prima di decidersi a usare disinfettanti e mascherine si sono ammorbati un centinaio di ministri, dirigenti e impiegati, la ditta delle pulizie dovrà sanificare ogni centimetro dei 5mila metri quadri dell’edificio. Ed è un’appropriata metafora di quanto è chiamato a fare Joe Biden.

Trump uscirà questa mattina dall’Ala Ovest e prenderà per l’ultima volta l’Air Force One diretto alla nuova capitale della destra americana, Mar-a-lago in Florida. Una Camelot al contrario, il regno di Mordred e non quello di Artù, dove non saranno ammessi traditori.

L’ultimo è il leader del senato Mitch McConnell: «I disordini di Capitol Hill – ha accusato – sono stati provocati da Trump». Per l’ultimo giorno il presidente in carica ha preteso pompa magna, tappeto rosso, salva di 21 colpi e guardia d’onore, insomma il trattamento completo, ma pochi hanno risposto all’invito «rsvp» per entrare alla base Andrew e partecipare alla fine di un’epoca. I vip saranno tutti da Biden.

Come in ogni cambio di regime, è arrivato l’assalto al pardon presidenziale. I numeri di Trump non sono eccezionali, si attendono da 60 a 100 perdoni – per capirsi, Clinton al suo meglio ne firmò 170. Non è la quantità, è la qualità.

Tra gli aspiranti alla grazia ci sono figuri di ogni ordine e grado, dall’inventore del circuito sul web che vendeva eroina, cocaina ed ecstasy in cambio di bitcoin al detentore del record mondiale di anni di galera (ottocento) per racket, un colletto bianco che fece sparire mezzo miliardo di dollari dalle casse di una compagnia assicurativa.

Più probabilmente saranno graziati i rapper trumpisti condannati per armi e droga, il guru dell’ultradestra Steve Bannon nei guai per quei soldi raccolti per il muro anti-immigrati e spariti, forse anche il superavvocato Rudy Giuliani, che non ha condanne ma potrebbe evitarsi quelle future (difendere il presidente fa male alla fedina penale).

Non ci sarebbero parenti, nella lista dei perdoni preventivi, nemmeno il presidente stesso ma non si sa mai, ha tempo fino al pomeriggio di oggi. E nemmeno, dopo molte discussioni, gli squadristi dell’assalto al Campidoglio, perché perdonarli farebbe saltare in aria il paese. Ma oltre alle facce patibolari ci sono i metodi, New York Times e Cnn descrivono un vero mercato in mano alla first figlia Ivanka e al first genero Jared Kushner: il «cerchio magico» trumpiano starebbe trasformando in dollari la facoltà di accedere al presidente. In un momento di ubriachezza persino un assistente di Giuliani avrebbe promesso la grazia a un ex dirigente della Cia (rivelò al mondo le torture con il waterboarding ma fece il nome di un agente, che è reato), in cambio di due milioni di dollari.

L’ultima porcheria è la consegna del rapporto della «commissione 1776», il gruppo di 18 “esperti” che Trump ha incaricato di togliere la storia dalle mani degli esecrati liberal: troppo schiavismo e troppi genocidi, nei libri dei nostri studenti vogliamo più patriottismo e più paese eccezionale, e nello Stato meno “tecnici”, voluti dai progressisti…«come volle Mussolini» (sic). Tra gli “esperti” non c’è un solo storico ma a chi importa? La realtà alternativa è la specialità della casa.