La gente è arrabbiata a Gotham City,lo sciopero l’ha affogata nell’immondizia, fetore e ratti anzi super-ratti spadroneggiano ovunque, e intanto i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. In mezzo il niente, solo sacchi di rifiuti che fa lo stesso. Là fuori va sempre peggio sussurra a sé stesso Arthur Fleck, la mamma lo chiama «Happy» da piccolo gli ripeteva che era nato per far ridere il mondo e oggi con la maschera da clown fa l’uomo-sandwich per un negozio di dischi che sta fallendo. Si becca calci e pugni dai ragazzini solo per spaccargli in testa il cartello che ha in mano. Ma lui sorride ancora pesto, una risata che è un singulto e la sua malattia: dentro e fuori dagli ospedali psichiatrici, un’alta dose di pillole e un vago supporto medico che i tagli al welfare cancellano all’improvviso, i sogni impossibili di una carriera da stand-up comedian tutti compressi nello schermo della tv, davanti agli show della sera primo tra tutti quello di Murray Franklin (una specie di Letterman) – Robert De Niro – che guarda insieme alla madre, fragile, ossessionata dai suoi misteri.
Tra i titoli più suspence della Mostra Joker (nelle sale il 3 ottobre) che ieri ha «invaso» il Lido in un sabato pomeriggio di «tutto esaurito» con nervosismo ai controlli che uniscono forze dell’ordine e security privata – potrebbe intitolarsi «Being Joker» o «Being Arthur Fleck». Nella testa del personaggio – ispirato al crudele nemico di Batman nel fumetto DC Comics di Bob Kane, Bill Finger e Jerry Robinson – il regista Todd Phillips racchiude infatti l’intera narrazione moltiplicando rimandi, citazioni, omaggi – la Hollywood degli anni 80, Jack Nicholson non solo Joker, quel corridoio fetido su cui si affaccia il suo appartamento non somiglia a quello dell’Overlook Hotel? – sul confine ambiguo – e ironico – di «vero»/falso», allucinazione/desiderio che rimbalzano come frammenti di uno specchio infranto. Il suo Joker però è protagonista assoluto, senza rivali «buoni» occupa finalmente per intero la scena che gli è stata sempre negata nella sua esistenza. È dunque soltanto follia in cui precipitiamo o nel suo distacco dal reale balena l’essenza di una contemporaneità disgregata, virtuale, sminuzzata tra social e schermi digitali dove ciò che conta – come per Arthur/Joker è appunto essere visto/guardato?

CHI È JOKER allora? Un pazzo omicida, un paranoico traumatizzato dall’infanzia violenta, dal padre segreto, il miliardario padrone della città,Thomas Wayne, che nega di essere suo padre? Tua madre – la serva sottinteso – è solo una pazza gli dice con disprezzo. O è invece l’eroe con la faccia da clown eletto come tale dai diseredati, coloro che come lui sono invisibili – massa anonima utilizzata dal potente di turno – quel simbolo vuoto di cui tutti hanno bisogno per accendere rivolta contro la strafottenza della ricchezza che li schiaccia sempre di più?

QUANDO Arthur esplode uccide tre ragazzi in metropolitana. Stavano molestando una ragazza con l’arroganza di chi può tutto, i media li piangono , erano tre giovani promesse della finanza e invece per molti il gesto diviene un simbolo di rivolta. Magari però anche questo è solo nella sua testa … Su questo scarto sta il Joker di Phillips affidato alla genialità di interprete di Joaquin Phoenix – capace come pochi attori di mettersi in gioco con ogni nervo, muscolo, battito di ciglia. Joker vuole far ridere, è il suo desiderio più grande, vorrebbe essere come Chaplin, di fronte ai cui film la città che conta nelle serate di gala si diverte, ma la sua risata esplode quando non c’è nulla da ridere. Sembra una strafottenza, con quel suono sibilante, forse è imbarazzo o forse – come ha raccontato Phoenix è dolore di un’emozione repressa: «Una parte della personalità che vuole venire a galla». È inopportuna come lui. E fa paura. Ma è sempre questione di punti di vista. Può essere criminale o liberatorio, geometrica potenza o Vaffa Day. Il fatto è che suo malgrado Joker la massa lo idolatra, è il corpo del capo in quella sua strabica danza sporco di sangue e trucco, la lacrima di rimmel che solca il ghigno delle labbra.

INTORNO Gotham brucia, la gente si prende quello che non può, quello che l’economia sanguisuga gli ha tolto insieme all’assistenza e a ogni diritto di essere curati, di avere una casa, un lavoro, di esistere. Forse la sua, quella di Joker era semplicemente vanità ma a loro non importa se dentro o intorno la sua figura c’è qualcosa: lì possono proiettare finalmente quanto avevano represso, le proprie necessità. Siamo in un passato attuale la politica – Joker lo ripete in tv prima di un colpo magistrale – è finita, e sembra non esistere nemmeno una solidarietà nella protesta, chi invade le strade è pronto a ammazzarsi reciprocamente.
Eppure. Il punto è dunque come trasformare la rabbia individuale in una spinta collettiva, la maschera del clown – che ricorda quella di Anonymous – in consapevolezza di obiettivi contro l’esaltazione che cerca dei nemici – qualunque essi siano e per qualsiasi ragione. L’inquietudine è la cifra di questo Joker interprete sfacciato di un mondo distorto come la sua testa, sigaretta dopo sigaretta eroe nonostante lui.