«Siamo qua perché siamo stanchi, perché per l’ennesima volta sono morte delle persone, lavoratori come noi, ma con mansioni diverse. Anche queste attività però, ormai sono deregolamentate». A parlare è Luca, «portuale di Genova».
Tredici morti in trent’anni: il porto come sperimentazione dei più duri cambiamenti lavorativi del paese. È con quest’animo che i portuali ieri hanno bloccato le attività del porto genovese. Scoramento, delusione, rabbia. I camalli, i portuali, figure storiche e che rappresentano la storia, l’emblema del porto di Genova si sono radunati già nella mattinata per esprimere solidarietà alle vittime del tragico incidente del Molo Giano. Fatalità, sfortuna, maledizione, errore, avaria, le cause dell’incidente della nave portacontainer Jolly Nero ancora non sono accertate, ma nei lavoratori portuali si è ridestato l’antico animo battagliero. Al solito le voci intorno al porto si rincorrono, mettono in dubbio le responsabilità, c’è chi sostiene non ci fossero i rimorchiatori, chi sottolinea la decadenza del porto di Genova, luogo simbolo nei tempi andati ormai ridotto a mattatoio, da anni.

Luca, vent’anni a caricare e scaricare e osservare, racconta che «abbiamo scelto di radunarci, di fare un presidio, perché non ci siamo, non ci siamo proprio. Al di là della dinamica che non è ancora chiara, noi siamo qui per esprimere la solidarietà a dei lavoratori anche se si tratta di ’tecnici’, ovvero lavoratori che non esercitano le nostre mansioni».

I camalli hanno bloccato il porto e hanno spinto perché il «fermo» non fosse limitato solo al primo turno, come avevano annunciato in un primo tempo i sindacati, ma fosse prolungato fino a oggi. Secondo Silvano Ciuffardi, vice console della Culmv, invece la decisione sarebbe stata presa all’unanimità dai sindacati federali.
«Poi c’è il fatto che la nave è della linea Messina e non è la prima volta che accadono incidenti con questo armatore. Questa tragedia non può essere spiegata, ma quello che si dice nel porto è che tutta la struttura (ovvero il personale, ndr) che regge le manovre di una nave in uscita non fosse al massimo della presenza».

Un rapporto tra l’armatore Messina e il porto di Genova, per niente semplice: «Qualche mese fa – racconta Luca – lo stesso armatore chiedeva all’Unione Europea la cancellazione dei servizi tecnico nautici in Italia, ovvero di fare le manovre per i fatti suoi, che significa non affidarsi ai piloti del porto ma effettuare le manovre con il suo personale di bordo. Anche per quanto riguarda le mansioni che noi chiamiamo “di banchina”, ovvero di carico e scarico merci». Insomma significherebbe gestirsi un po’ tutto in proprio, anche perché l’armatore Messina con Genova non ha a che fare solo con le attività di carico e scarico, ci spiegano, bensì gestisce anche i bacini dove le navi vanno in carenaggio.

L’ipotesi di fare a meno del personale del porto, una sorta di “deregulation” marittima, significherebbe gestirsi tutto in proprio, con rischi evidenti anche in materia di sicurezza. «Il nostro lavoro – racconta il portuale genovese – è fare carico e scarico di merci. Si tratta naturalmente di un lavoro che è molto distante dalla professionalità di piloti e rimorchiatori ma anche loro sono nelle condizioni in cui noi siamo ormai da anni, perché in questo porto in tredici anni ci sono stati 30 morti in nome di attività che non hanno più nessuna regola». Non solo nel porto, verrebbe da dire, ma in tanti altri ambiti lavorativi».

«Chi crede che i porti siano esuli da questi ragionamenti sbaglia – continua Luca – perché la legge Biagi ha usato come territorio di sperimentazione proprio i porti. Noi quella legge la conosciamo bene. Lavoro in porto da ventidue anni e nel mio piccolo da quando sono entrato a oggi, diritti non ce ne sono più. Nonostante la nobiltà che ci viene attribuita per un passato che non c’è più – un’immagine che ci siamo anche un po’ costruiti noi stessi – noi ormai siamo lavoratori a chiamata, misti a lavoratori dipendenti del terminalista di turno con contratti diversi. Dovremmo avere contratti di natura marittima, mentre alcuni lavorano con contratti da meccanico».