«L’Europa non c’è» accusava ieri mattina da Bruxelles il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker, senza sapere che poche ore dopo dalla Danimarca sarebbe arrivata l’ennesima conferma sul pessimo stato di salute in cui versa l’Unione europea. Spaventata dal passaggio attraverso i suoi confini di qualche centinaio di migranti (1.500 da sabato), nel pomeriggio Copenhagen fa infatti sapere di aver sospeso i collegamenti ferroviari con la Germania e chiuso un’autostrada sulla quale 300 profughi siriani stavano cercando di raggiungere a piedi la Svezia. A spaventare il governo del conservatore Lars Lokke Rasmussen – che solo due giorni fa ha fatto pubblicare sui giornali libanesi annunci per scoraggiare i profughi siriani dal raggiungere il nord Europa -, è stato l’afflusso di «centinaia di migranti» provenienti dalla Germania e decisi a non farsi identificare. Il risultato, annunciato dalla compagnia ferroviaria danese Dsb e successivamente confermata dalla tedesca Deutsche Bahn, è stato lo stop a tempo indeterminato a tutti i collegamenti provenienti dalla Germania. Se si calcolano i treni che coprono la tratta Amburgo-Copenhagen e quelli tra la tedesca Flennsburg e Palborg si tratta di almeno 14 convogli al giorno costretti a fermarsi alla frontiera. E non solo i treni. La polizia danese ha bloccato anche l’autostrada E45 dopo che nei pressi di Padborg sono stati individuati 300 siriani fuggiti da una scuola dove erano ospitati e diretti in Svezia. Il gruppo non è stato fermato e le autorità hanno detto di voler avviare una trattativa con i profughi. Altre 200 persone si sono invece rifiutate di scendere dal vagone su cui si trovavano nel porto di Rodby, sull’isola di Lolland, o di essere accompagnati nei centri di accoglienza.
La decisione di fermare i collegamenti ferroviari con la Germania ha preso di sorpresa le istituzioni europee, incapaci fino a ieri sera di commentare la scelta fatta da Copenhagen, ma non rappresenta certo un fulmine a ciel sereno. Il giro di vite era infatti nell’aria da tempo. Le elezioni politiche del 18 giugno scorso hanno sancito la sconfitta dei socialdemocratici e portato all’affermazione, seppure di misura, di Venstre, il partito conservatore del premier Rasmussen. Ma le urne hanno decretato soprattutto la vittoria del Partito del popolo danese, formazione populista che ha impostato tutta la sua campagna elettorale contro immigrazione e austerità e sull’antieuropeismo. Nonostante il 21,1% dei consensi raccolti, il Partito del popolo danese si è però rifiutato di entrare nel governo ma lo condiziona pesantemente, specie proprio per quanto riguarda le scelte in tema di immigrazione.
La chiusura verso i profughi è dettata dalle paure sulle quali soffia la destra. A luglio un sondaggio svolto dall’Eurobarometro segnalava come proprio l’immigrazione fosse il motivo di maggiore preoccupazione per il 50% dei danesi, più della crisi economica, della disoccupazione e del terrorismo. Dietro questi risultati ci sono anche i dati sul numero di profughi arrivati nel Paese nel 2014, più del doppio rispetto all’anno precedente: 14.815 contro i 7.557 del 2013, mentre le previsioni dell’ufficio immigrazione per il 2015 parlano già di un nuovo picco di ingressi. Numeri che fanno sorridere se solo si pensa agli sbarchi che avvengono quotidianamente nella nostra Sicilia, ma che evidentemente mettono i brividi a latitudini scandinave.
Per scoraggiare nuovi arrivi il governo ha quindi deciso di colpire pesantemente il welfare dei richiedenti asilo dimezzando gli assegni (che passeranno da 10.849 corone a 5.945) senza escludere tagli a scuola e sanità, ma anche limitando le possibilità di avere una casa e un permesso di soggiorno. Tutte misure che nei giorni scorsi il ministero dell’Immigrazione si è preoccupato di rendere note attraverso inserzioni pubblicitarie in arabo e in inglese apparse sui media del Libano, Paese dal quale parte una grossa fetta dei profughi siriani, proprio nel tentativo di scoraggiarli a intraprendere il viaggio verso la Danimarca . «Non venite» è stato il messaggio esplicito inviato ai siriani.
Un no ripetuto anche in sede europea. La Danimarca fa parte infatti del blocco dei paesi contrari alle quote di ripartizione dei profughi. Lo era a giugno, durante la presentazione dell’Agenda sull’immigrazione di Juncker quando si tirò fuori dalla ricollocazione grazie alle clausole di esclusione di cui gode, e lo è anche adesso. Una contrarietà confermata ieri con la decisione di isolarsi ancora di più fermando i treni in arrivo dalla Germania.