Da casa la prima volta, sulla casa tutte le altre. Cominciano così le campagne elettorali di Silvio Berlusconi, dalla videocassetta del 1994 registrata tra le mura domestiche di villa San Martino, Arcore, alla propaganda sulle abitazioni degli altri, di cui negli anni ha promesso la costruzione, l’estensione e soprattutto la detassazione. Così quando il cavaliere torna a parlare di casa, specie della prima casa «che è sacra» (lui ne ha altre venti profane) non si sbaglia: c’è aria di elezioni.

Partito come imprenditore immobiliare, Berlusconi ha detto più volte che vorrebbe essere ricordato come colui che ha dato una casa a chi non ce l’aveva. «Sogno un paese di proprietari di casa» risale alla campagna elettorale del 2006. Non essendoci riuscito, anche perché l’Italia era già e resta almeno all’ottanta percento un paese di proprietari di casa, ha fatto sogni diversi. Siamo nel 2009: «Una mattina mi sono svegliato e ho detto, ecco qua, cementifichiamo l’Italia. Scherzo, non c’è nessuna cementificazione, le famiglie potranno fare qualcosa che renderà più bella e più preziosa la propria abitazione. Siccome l’ho sognata io, Tremonti e Ghedini la chiamano lex Silvia». È il piano casa. Quello che doveva consentire ai proprietari di ampliarsi in libertà, fino al 30%, rilanciando così l’edilizia – che da sola «cambia il corso della politica economica», questa è di ieri – senza controlli, nel paese degli abusi e dei terremoti.

La casa. Niente che tocchi di più gli italiani. Wikipedia conta una cinquantina di proverbi sul tema, tra i quali quello che assegna al mattone anche il derby con la religione: «È buona cosa la messa udire, ma è meglio la casa custodire». Per lanciare il piano casa Berlusconi scelse un altro motto: «Padroni in casa nostra». Poi disinvoltamente esteso dai muri perimetrali alle frontiere blindate. E tale era l’identificazione del leader col popolo che tra le prime richieste di applicazione del piano casa ci fu quella della Idra immobiliare per la realizzazione di alcuni bungalow all’interno di villa Certosa in Sardegna. Ad altri lavorucci domestici tipo la costruzione di un tunnel a mare per le imbarcazioni e un laghetto artificiale si preferì mettere mano con il segreto di stato.

Con la testa nel mattone, quando ha dovuto aiutare qualche amico in difficoltà Berlusconi gli ha comprato casa. Lo ha fatto con Dell’Utri, l’ha fatto con un certo numero di ragazze poi conosciute come «olgettine» (dall’indirizzo del condominio di Milano 2 dove veniva gratuitamente ospitate), l’ha fatto persino con il pianista delle notti di Arcore. E si capisce quanto gli sia spiaciuta la curiosità dei magistrati per quelle cena eleganti, anche se indotta da un’errata strategia difensiva. Sono state così violate tutte le stanze, la tavernetta della lap dance, la camera del lettone di Putin, persino il bagno fotografato da un’ospite infedele. Tutto il circuito «padronale» delle mura domestiche della villa di Arcore da privato è diventato pubblico. Quella villa il cui acquisto è all’origine di uno degli incontri più importanti nel destino del cavaliere, quello con l’avvocato Cesare Previti curatore degli interessi della marchesina Anna Maria Casati passato rapidamente dalla parte del cavaliere acquirente. L’affare fu concluso, si stima, per un quarto del valore reale dell’immobile e dei suoi arredi. E si sa che il primo gesto d’amore per una casa consiste nell’ottenere uno sconto sull’acquisto. Certo non a tutti capita come a Berlusconi di trovare all’interno quadri e libri di valore compresi nel prezzo, ma col tempo abbiamo scoperto che il cavaliere non è solo un costruttore, è anche un arredatore. Come aveva già avvertito Giuliano Ferrara nel volume agiografico del 2001 spedito per posta agli italiani: «Arredare le case è un suo hobby, cura ogni particolare, dalle foto in cornice ai fiori, alle luci studiate in un certo modo». La prova sta nelle immagini che accompagnavano Una storia italiana, perché quelle stanze furono presentate al pubblico molti anni prima che ci ficcassero il naso i pubblici ministeri. E quasi a concludere il ciclo, Natale 2011, in pieno Ruby-gate, ecco il desco di Arcore che splende di rosso e oro nel paginone centrale di Chi. Trentacinque a tavola, accanto a Berlusconi un prete (cugino).

Quando negli affari ha comprato una catena di negozi l’ha chiamata «la casa degli italiani», quando in politica ha fondato una coalizione «la casa delle libertà», quando ha voluto distruggere un avversario politico si è concentrato su una casa (di Montecarlo), quando si è messo a risolvere il problema dei rifiuti ha detto ai napoletani di «considerare le strade come le vostre case», quando si è dedicato ai terremotati dell’Aquila ha spianato le colline per impiantarci le C.A.S.E (complessi antisismici sostenibili ecocompatibili) e poi è andato ad accogliere i terremotati in diretta tv con lo spumante nel frigo: «Le donne cadono nelle mie braccia incredule». Quando, in quella che sembra la fine di tutto, ha pianto sulle sue sorti di condannato, l’ha fatto da un palchetto costruito – pare abusivamente – davanti al portone di casa, rientrandoci poi svelto con fidanzata e cagnolino. E se saranno arresti saranno arresti domiciliari.