Una vera rovina per gli imprenditori delle rinnovabili, una «mazzata» che potrebbe costringere diverse imprese a chiudere o comunque a ridurre l’occupazione. Il decreto «Spalma rinnovabili» in preparazione in questi giorni al ministero dello Sviluppo, non sarebbe solo un danno per l’ambiente ma anche per tante aziende che su questo settore hanno scommesso. Lo staff della ministra Federica Guidi vuole tagliare l’attuale monte incentivi – pari a 7 miliardi annui – del 20%, ovvero di 1,5 miliardi, spalmando l’erogazione su 27 anni invece che su 20. L’idea sta allarmando gli operatori, come ci spiega Massimo Sapienza, imprenditore «green» e animatore di un movimento che ha 25 mila seguaci su Facebook, «Sos rinnovabili». Sapienza è titolare di Helio Capital (centrali fotovoltaiche), ceo di Palmainvestimenti e nel 2013 è stato presidente di Cleantech Summit, un premio-rassegna delle start up del settore.

Che beneficio offrono oggi le rinnovabili?

Il settore si è sviluppato grazie agli incentivi pubblici, su impulso della Ue, dal 2005: fattura circa 20 miliardi l’anno e ha 100 mila addetti in Italia. Dal 2010 al 2013 sono stati investiti ben 70 miliardi di euro. Il beneficio sull’ambiente è notevolissimo, in quanto sono energie che non inquinano: in media coprono già il 40% di produzione italiana, ma nella settimana di Pasqua – quando le industrie erano in parte chiuse – siamo arrivati al 50%. Questo impulso, questa enorme «rivoluzione» verde, ha portato anche vantaggi sul costo dell’energia: dal 2008 il prezzo all’ingrosso di un megawatt orario è crollato da 70 euro a 45 euro. Faccio notare che si parla di ingrosso, perché purtroppo le società di vendita dell’energia fanno pagare in bolletta, ai cittadini, ancora 80 euro medi a megawatt ora.

Su questo enorme margine che si ritagliano i distributori torneremo dopo. Intanto cerchiamo di capire perché Guidi vi ha preso di mira.

La ministra si è fatta ispirare dall’Istituto Bruno Leoni, un think tank liberista guidato da Carlo Stagnaro, che ha ideato questa riforma. L’idea è che siccome siamo sul mercato, non dobbiamo più godere di incentivi. Faccio notare che però chiunque oggi produce energia pulita – anche chi ha installato i pannelli sul tetto – ha firmato con il Gestore dei Servizi Elettrici una convenzione, un contratto basato su determinati incentivi. Per le imprese, che hanno costruito le centrali con dei mutui, il taglio degli incentivi è un disastro: molte riusciranno a stento a coprire le rate dei prestiti, e ne soffriranno a catena anche le banche, che si vedranno quei crediti andare in sofferenza. Senza contare il rischio per i dipendenti, i posti di lavoro.

È come con gli esodati: firmo dei contratti a determinate condizioni, e poi le cambio, inguaiando chi si è impegnato.

Esatto, e infatti lo Stato potrebbe andare incontro a un mucchio di cause, rischiando di dover pagare ricorsi miliardari. Pensate a cosa succederebbe se io dicessi a un mio dipendente: il tuo salario non è più 1000 euro subito, ma 800 adesso e 200 tra 20 anni. E gli investitori internazionali? Un fondo inglese, Terra Firma, nel 2011 ha comprato 300 mega watt di solare fotovoltaico da Terna, ma alle attuali condizioni di incentivo: ora chi glielo dice che i costi aumentano? Questo è lo «spalmamento» che vuole fare Guidi con noi, rovinandoci. Ancora: il nostro settore – dove non esiste praticamente nero, visto che godiamo di incentivi – paga Ires e Irap per circa 500 milioni annui: ma se non facciamo più utili, come pagheremo le tasse allo Stato?

Voi proponete: se si vogliono favorire i cittadini, si facciano pagare bollette più eque.

Gli obiettivi sarebbero quelli di arrivare al 100% di produzione da rinnovabili nel 2050. Ma se questi sono i segnali del governo, la vedo dura. Piuttosto, impongano ai venditori di energia di adeguare le bollette a quanto pagano all’ingrosso: perché se oggi comprano il mwh a 45 euro, lo fanno pagare ai cittadini ben 80 euro? Un piccolo calcolo: se noi moltiplichiamo la differenza (35 euro) per l’energia consumata ogni anno in Italia (300 milioni di mwh), vengono fuori 10,5 miliardi. Sarebbe una cifra recuperata alla collettività ben più alta degli 1,5 miliardi che si vogliono togliere agli incentivi per le rinnovabili.