Carenze negli organici, aule sovraffollate, precarietà, scuole prive di dirigenti. È in questa scuola che ieri sono tornati a studiare in presenza 3.865.365 alunni in Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Umbria, Veneto, Valle d’Aosta e Provincia di Trento. Lo stesso faranno il 14 settembre quelli della Sardegna, il 15 in Campania, Liguria, Marche, Molise e Toscana, il 16 in Friuli Venezia Giulia e Sicilia, il 20 Calabria e Puglia. Le immissioni in ruolo dei docenti quest’anno corrispondo al 53% dei posti disponibili con il restante 47% delle cattedre affidate a precari a cui si aggiungono altri 90 mila posti liberi, di cui la stragrande maggioranza sul sostegno, sostiene la Flc Cgil. Dunque 150 mila posti docenti, il 17% del totale previsto nella scuola pubblica, anche quest’anno saranno coperti da docenti precari. Ancora più pesante la situazione sul versante del personale Ata dove le 10.800 immissioni in ruolo hanno coperto solo il 40% dei posti disponibili. Resta il problema delle oltre 600 scuole date in reggenza con presidi e direttori dei servizi generali e amministrativi che si dividono fra più istituti. I 59 mila insegnanti assunti complessivamente quest’anno, presentati come un successo da Bianchi, coprono solo in parte il fabbisogno. «Questa situazione – sostiene Rino Di Meglio (Gilda) – è figlia della mancanza di sistemi di reclutamento e di abilitazione in grado di snellire le procedure e di rendere i concorsi appuntamenti fissi ogni due anni. La farraginosità dei meccanismi ha finora alimentato quella fabbrica del precariato che tanto nuoce alla qualità dell’insegnamento e alla continuità didattica».

ALLE SEGRETERIE degli istituti sono giunte numerose segnalazioni di impazzimento dell’algoritmo che regola le nomine dei precari dalle Graduatorie provinciali per le supplenze e dalle Graduatorie ad esaurimento. Alcune direzioni regionali (Puglia) hanno ritirato gli elenchi, ammettendo l’errore e verificando le singole posizioni individuali, altre (Lazio) hanno deciso di lasciare la situazione com’è. « Ogni studente ha diritto ad avere il suo docente, in base ai principi di legge e non di un algoritmo imperfetto» sostiene Pino Turi (Uil Scuola).

NEGLI ULTIMI 18 MESi si è parlato di uno sdoppiamento delle classi per eliminare le cosiddette «classi pollaio», esigenza fondamentale anche in tempi di pandemia. Secondo i dati del ministero solo il 50% delle classi è composta da massimo 20 alunni, mentre il resto va oltre e, di queste, il 13% ha più di 26 alunni, fenomeno che nella secondaria sale al 19%. Senza contare le classi con la presenza di alunni con disabilità che non dovrebbero superare i 20 alunni, ma li superano nel 50% dei casi.

GLI STUDENTI sono tornati a protestare ieri. L’Uds ha disseminato di macerie l’ingresso del ministero in viale Trastevere e ha lanciato un «manifesto della scuola pubblica». «Siamo tornati in una scuola aziendalizzata e sottofinanziata con le stesse contraddizioni strutturali – sostiene Gianmarco Silvano (Uds) – Gli studenti non sono portati alla formazione di un pensiero critico ma alla mera acquisizione di sterili nozioni, con processi frontali e punitivi». La Rete degli studenti medi ha manifestato davanti a 40 scuole in tutto il paese: « La nostra generazione ha subito le peggiori conseguenze della pandemia: zero progettualità su di noi da parte di chi ha la responsabilità di decidere» sostiene Tommaso Biancuzzi . Il 19 novembre è annunciata una manifestazione nazionale.

SUL GREEN PASS
è rimasta concentrata tutta l’attenzione. Da giorni era annunciato il caos, provocato soprattutto dai genitori che portano i figli a scuola. Ieri oltre 900 mila controlli e pochi semafori rossi. Per la Flc Cgil c’è un «enorme pasticcio». «Anche dopo l’introduzione della piattaforma informatica, le scuole saranno costrette a contattare i lavoratori che risultano avere il green pass non attivo per verificare la veridicità della segnalazione della piattaforma; e chi non risulta inserito al sistema per motivi legati all’aggiornamento degli archivi scolastici o perché esterno come i genitori, dovrà comunque essere sottoposto al controllo tramite app. Il punto vero è che, in mancanza di orientamenti chiari da parte del ministero su tutta una serie di casistiche, le scuole sono costrette ancora una volta a cavarsela da sole».

NELL’ENFASI ministeriale di inizio anno ieri ha colpito un dettaglio. Il ministro dell’Istruzione Bianchi ha spiegato il significato di «stringiamoci a coorte» nell’inno nazionale ai bambini della scuola Carducci di Bologna. Per lui significa «stiamo insieme». È vero, ma in un’unità militare. E il verso successivo dice: «Siamo pronti alla morte».