Gerhard Dichgans, direttore del consorzio Vog, rappresenta un gruppo di 12 cooperative dell’Alto Adige, per una produzione su oltre 10 mila ettari tra le 550 mila e le 650 mila tonnellate annue: un quarto circa del quantitativo nazionale. Il consorzio rivolge uno sguardo molto attento alle tendenze internazionali, dal momento che due terzi della produzione è destinata al mercato estero e in questo senso Vog è un’interessante antenna per percepire le tendenze del mercato globale: «Serviamo oltre 50 destinazioni in Europa, ma vendiamo anche in Medio Oriente e Nord Africa. Il consumo è molto differenziato a seconda delle nazioni interessate».

IL MERCATO DELLE MELE BIO, nel quale il gruppo è uno dei principali attori nostrani, è molto più sviluppato all’estero che in Italia. Questo dato trova riscontro sull’intero comparto agricolo: la produzione di bio nel nostro Paese è infatti del 14,5% sul totale (fonte Ifoam, ndr), una percentuale che ci pone al quinto posto in Europa, ma la vendita al dettaglio sul mercato interno è solo al 3% (decimo posto, molto meno rispetto al 7,9% della Svezia o al 5% della Germania). Rispetto ai Paesi più evoluti in questo senso, un consumatore nostrano spende circa un terzo su base annuale in prodotti organici (44 euro): «Ci sono alcuni mercati che per ragioni diverse sono particolarmente orientati al biologico, come Germania, Scandinavia, Gran Bretagna – spiega Dichgans, riferendosi allo specifico settore delle mele – In Germania c’è un movimento ambientalista molto ben radicato, ormai da una ventina d’anni. L’attenzione del consumatore a quello che mangia è di un certo tipo. In Scandinavia la sensibilità sembra declinarsi in sfumature ancora differenti: c’è un grande rispetto per l’ambiente, sostenuto anche da precise volontà politiche. Per cui in Svezia si sono dati un vero e proprio obiettivo di mercato: raggiungere il 10% di biologico. Infine se guardiamo alla Gran Bretagna, ma anche alla stessa Germania, il bio non è più solo legato al negozietto che vende prodotti alternativi, ma è entrato in pianta stabile nelle grandi catene nazionali. E negli stessi supermercati il posizionamento dei reparti, la visibilità dei prodotti, l’informazione che il consumatore riceve è molto curata. Noi la chiamiamo categorizzazione del prodotto e possiamo dire che in quei Paesi è ben sviluppata».

VOG AL MOMENTO PRODUCE 25 mila tonnellate di mele biologiche all’anno, ma l’obiettivo per il prossimo quinquennio è di raddoppiare la quota perché la domanda è crescente. Lavorare sul mercato estero però non significa solo investire su coltivazioni a basso impatto ambientale, ma conoscere anche un tipo di consumatore diverso: mentre il mercato italiano si può considerare ancora di tipo tradizionale e vengono vendute in gran parte varietà classiche come Golden o Red Delicious, all’estero (principalmente nel Nord Europa), si predilige un gusto dolce-acidulo e oltre alle tradizionali Gala e Braeburn si stanno diffondendo nuove mele brandizzate come Pink Lady, per citarne una molto in voga. Su dimensioni e colore il retaggio culturale è importante: se in Italia il consumatore richiede calibri grandi, al Nord la mela è tradizionalmente più piccola (anche per ragioni climatiche). E se la mela è rossa fin dai tempi di Biancaneve, soprattutto in Europa si stanno diffondendo molto varietà bicolori. È soprattutto sul gusto però che la direzione di alcuni mercati esteri sembra anticipare una scelta globale: l’innovazione delle varietà oggi spinge su mele equilibrate, dolci e croccanti. Si tratta di una tendenza che inizia ad avere riscontro anche in Italia e Dichgans ci aiuta a capire da cosa è propiziata: «Sono caratteristiche che riscontriamo oltre che sui mercati stranieri anche all’interno dei laboratori di analisi sensoriale presenti sul nostro territorio (il centro di Laimburg, nella provincia autonoma di Bolzano, ne è un esempio). Il dato è marcato nella fascia d’età più giovane – tra i 20 e i 35 anni – e si combina a una fruizione del prodotto che è molto diversa rispetto al passato. La mela oggi è vista sempre più come uno snack, non viene quasi più mangiata a fine pasto, al ristorante. A tavola è stata sostituita dal dolce, ma viene invece consumata in pausa durante la giornata lavorativa. Questo ci impone di ripensare anche al packaging, a un modo pratico per fornire il prodotto. In pochi vogliono perdere tempo a sbucciare una mela. Pensate che il mercato della frutta di quarta gamma (la frutta fresca lavorata, per esempio tagliata a fette, ndr) si sviluppa del 25% ogni anno. Ma in ottica futura si stanno anche sviluppando varietà di mele geneticamente piccole, che si possono mangiare in due o tre morsi, aggirando così il problema dell’affettamento». Tutto senza considerare il mercato, comunque in ascesa, della frutta disidratata, un settore molto specifico ma pure di rilievo. Chiaramente questa nuova tendenza porta con sé anche alcune implicazioni di carattere negativo, come l’aumento della quantità di imballaggi, un aspetto su cui ancora c’è molto da lavorare.

IL COMPARTO EDUCATIVO è un altro grande ambito di impegno: il 2013 ha fatto segnare la massima contrazione del mercato italiano del consumo di mele (734 mila tonnellate, fonte Cso), un dato che sta progressivamente migliorando nell’ultimo quinquennio (832 mila tonnellate nel 2017). Assomele conferma che l’Italia è tra i Paesi che dall’Ue riceve più fondi da dedicare al progetto di educazione alimentare Frutta nelle scuole, dedicato ai bambini delle elementari: «In Italia si avverte la necessità di recuperare terreno rispetto al passato – spiega Giulia Montanaro, responsabile comunicazione – Attualmente siamo tra le nazioni che utilizzano il maggior numero di finanziamenti in materia, secondi solo alla Germania (i dati previsionali 2018/19 indicano 20 milioni di euro contro i 24 dei tedeschi, ma più di Francia e Spagna, fonte Commissione europea, ndr). Sui media, vecchi e nuovi, si sente parlare molto di vegetarianismo, veganesimo e stili di vita alimentare sani. Si ha l’impressione che ci sia una tendenza diffusa al nutrirsi meglio; ma dalla teoria alla pratica si perde molto, soprattutto in età scolare».

LA MELA COMUNQUE È PRESENTE sul 95% delle tavole degli italiani: complice un prezzo di vendita che varia in media tra 1,40 e 1,60 euro al chilo (meno che in Francia o Germania, per esempio) e una copertura del calendario su quasi tutto l’anno, questo frutto è consumato in una quantità di 10-12 chili pro capite in Italia. D’altronde la mela è davvero uno dei frutti più diffusi sul Pianeta: la Cina è il più grande produttore mondiale (molto diffusa la varietà Fuji) e i mercati dove le mele non sono presenti sono bloccati soprattuto da limitazioni normative.

In definitiva si può affermare che ormai – anche nel settore frutticolo e la mela è un caso di scuola – il prodotto introdotto sul mercato è solo il risultato di un sempre più complesso studio delle previsioni di consumo, orientate in parte a scelte responsabili ed ecologiste, in parte invece legate a praticità e a un rinnovato appeal della frutta stessa. Le prospettive di successo e diffusione di un alimento salutare, ma in concorrenza con prodotti alimentari di diversa natura e lavorazione, sarà quindi determinato in parte dalla risposta a questi input.