La netta sconfitta nelle primarie di martedì in Florida dei candidati repubblicani di origine cubana e l’altrettanto netta vittoria di Hillary Clinton in campo democratico dimostrano che l’apertura politica decisa dal presidente Obama nei confronti di Cuba è approvata dalla grande maggioranza della comunità cubano-americana della Florida.

La politica del presidente nordamericano «affonda vari miti» e «smantella l’egemonia della mafia cubano-americana in Florida», aveva scritto due giorni fa il quotidiano del partito comunista cubano, Granma, commentando l’ultimo pacchetto di misure decise dalla Casa bianca che sono entrate in vigore ieri. E che costituiscono il più forte attacco a quell’embargo unilaterale in vigore da più di cinquant’anni che Obama giudica «un fallimento».

La parte più importante del pacchetto è costituito dalla flessibilizzazione dell’uso (fino a ieri proibito) del dollaro per una serie di transazioni commerciali di Cuba, fatto che rimuove un gran ostacolo per l’accesso dell’Avana al sistema bancario statunitense e internazionale. Il cambiamento include anche un notevole indebolimento delle restrizioni imposte ai viaggi individuali non turistici di cittadini statunitensi nell’isola e stabilisce la possibilità che cittadini cubani possano avere conti correnti nelle banche statunitensi – misura che favorisce soprattutto l’attività di sportivi e artisti cubani negli Usa, i quali, per lavorare, non saranno più obbligati a fare abiura e rinunciare alla loro nazionalità.

In contemporanea è scattata la ripresa di un servizio postale diretto tra l’isola caraibica e gli Stati uniti, che vuol dire che dopo più di cinquant’anni sarà assicurato l’invio quotidiano di posta e pacchi tra le due sponde del Golfo di Florida. Infine, la società statale di telecomunicazioni cubana Etecsa e la società americana Verizon hanno raggiunto un accordo per telefonate dirette tra i due paesi.

Secondo la Casa bianca tutte queste misure, attuate per «debilitare l’embargo», hanno lo scopo di dare respiro «all’interazione tra i cittadini di entrambi i paesi» e costituiscono un incentivo addizionale affinché il governo di Cuba attui riforme economiche e commerciali.

Da parte cubana la reazione è stata più prudente e affidata a vari media. I quali hanno affermato che il nuovo pacchetto di misure adottato da Washington costituisce «un passo avanti» verso la normalizzazione delle relazioni bilaterali, «ma che bisognerà soppesare i veri effetti che potrà produrre». In un lungo articolo dedicato alla visita all’isola che Obama inizierà domenica, Granma aveva messo in chiaro che il governo cubano non è disposto a cedere nulla sia sul piano della sovranità nazionale (riferito alla base di Guantanamo), sia sul piano interno, nella linea politica, sociale ed economica della Rivoluzione e, sul piano internazionale, della sua scelta antimperialista (solidarietà con il Venezuela). In conclusione, il presidente Obama verrà accolto con rispetto «da un popolo rivoluzionario, con una profonda cultura politica che è il risultato di una larga tradizione di lotta per la sua vera e definitiva indipendenza».

Uno dei punti più controversi è costituito dal tema del rispetto dei diritti umani. In una lettera inviata alle Damas de blanco, gruppo di donne cubane del dissenso, il presidente americano afferma di «comprendere le difficoltà che il comune cittadino cubano affronta al momento di esercitare i propri diritti» e si compromette a «parlare dell’argomento direttamente con il presidente Raúl Castro». Non vi è alcun rifiuto o timore ad affrontare l’argomento, è stato chiarito da parte cubana, purché la questione dei diritti dell’uomo venga «affrontata nella sua totalità», quindi includendo il diritto alla salute, al lavoro e alla scolarizzazione. E avvertendo che gli Stati uniti devono rinunciare al tentativo di «fabbricare un’opposizione fittizia con i soldi del contribuente americano».

Nella polemica è entrata, seppur con garbo e rispetto l’Unione delle donne cubane, organizzazione che di fatto dipende dal governo, che ha risposto alle richieste di Michelle Obama di voler allargare a Cuba il suo programma Let Girls Learn, a favore della scolarizzazione delle bambine, affermando che «a Cuba il 100% delle bambine sono scolarizzate, indipendentemente da dove abitano, dal colore della pelle, dal fatto che siano disabili o ospedalizzate».