Tra il profluvio di libri dati alle stampe in questi mesi in occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, fa capolino nelle librerie anche un volume dello storico Fulvio Conti, che si distingue dalla gran parte dei contributi di taglio letterario per l’originale approccio alla complessa eredità politico-culturale di Dante (Il Sommo italiano. Dante e l’identità della nazione, Carocci, pp. 244, euro 18).

QUELLA TRATTEGGIATA da Conti è un’attenta ricostruzione della diversa declinazione del mito del «sommo poeta» nelle varie fasi della storia italiana dal Settecento ai giorni nostri, una storia culturale dell’uso politico di Dante, cartina di tornasole dell’evoluzione del sentimento patriottico in Italia. Il culto dantesco è analizzato come parte del processo di costruzione della nazione da parte di intellettuali e uomini politici, attenti a quella che George L. Mosse ha definito l’«estetica della politica», la traduzione di messaggi politici in termini di bandiere, inni, dipinti, monumenti, icone, opere teatrali e musicali, capaci di suscitare emozioni anche nel popolo non alfabetizzato, per rinsaldare in chiave pedagogica il sentimento di appartenenza alla nazione.

Fino a gran parte del Settecento Dante non era percepito come un autore di prima grandezza, essendo considerato inferiore a Petrarca, Ariosto e Tasso. La sua definitiva consacrazione come il più grande poeta italiano si ebbe fra tardo Settecento e primo Ottocento, nell’epoca della fine dell’Ancien Régime e della nascita di un sentimento patriottico in Italia. Fu allora che venne restaurata la sua tomba a Ravenna, che divenne di lì in avanti oggetto di un vero e proprio pellegrinaggio.

TRA I PROTAGONISTI di questa riscoperta troviamo Vittorio Alfieri e Vincenzo Monti, che esaltarono Dante sia da un punto di vista stilistico sia come modello di patriota e perseguitato politico, ponendo le basi per il mito del «ghibellin fuggiasco», come lo definì di lì a poco Ugo Foscolo nel suo famoso carme. La consacrazione di Dante, in quanto padre della lingua italiana ma anche profeta del Risorgimento, si completa ad opera di Giuseppe Mazzini, che in modo anacronistico proietta sull’autore della Commedia un’intenzionalità patriottica di tipo laico e moderno, celebrata poi durante tutta l’età liberale in varie forme, dalla grande festa nazionale tenutasi a Firenze nel 1865 in occasione del sesto centenario della nascita, fino alla realizzazione nel 1911 di un film, L’Inferno, il primo lungometraggio del cinema italiano, diretto da Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro e Adolfo Padovan.

PIÙ AVANTI, fra la vigilia della Prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo, Dante fu riscoperto anche dai cattolici, che se ne appropriarono come supremo simbolo della religiosità cristiana; un atto che giungeva non casualmente a ridosso del Concordato fra lo Stato e la Chiesa, quasi a voler rintracciare in Dante il primo auspice dell’equilibrio fra i due poteri. Il fascismo trovò così una strada già spianata quando si trattò di elevare il poeta fiorentino a massimo simbolo dell’identità italiana, anche sotto il profilo razziale, in un’ideale parabola che era iniziata con la marcia su Ravenna degli squadristi guidati da Italo Balbo e Dino Grandi, nel 1921, e terminò nell’aprile 1945, quando al crepuscolo della Repubblica di Salò Alessandro Pavolini coltivò l’idea di dissotterrare le ossa di Dante per farne il nume tutelare dell’estremo sacrificio delle camicie nere.

Depurato dalle incrostazioni nazionalistiche e dagli eccessi retorici del Ventennio (ma anche dell’epoca liberale), la figura mitica di Dante ha attraversato pressoché intatta tutta l’età repubblicana, finendo per assurgere a «icona pop» nazionale ma anche globale, ad uso di pubblicità, opere teatrali, cinematografiche, musicali, e persino fumetti e videogiochi.
Nell’avvincente carrellata lunga più di due secoli offertaci da Fulvio Conti, la figura di Dante assume i tratti dell’icona polisemica, utilizzata come punto di riferimento per retoriche politiche diverse e anche contrapposte: il patriottismo democratico e il nazionalismo fascista, il repubblicanesimo laico e il cattolicesimo. Un’icona, quella di Dante, la cui centralità ha lasciato traccia anche nelle migliaia di vie a lui intitolate nelle città italiane: dopo «Roma», «Giuseppe Garibaldi», «Guglielmo Marconi» e «Giuseppe Mazzini» il nome di Dante risulta infatti tra i più ricorrenti.