Nel giorno del colpo di mano sulla legge elettorale, il Movimento 5 Stelle riscopre la piazza. Quella mobilitazione che i grillini evitano chirurgicamente dai giorni della rielezione di Giorgio Napolitano, a inizio legislatura, viene di nuovo annunciata. All’epoca, furono i giovani parlamentari a spaventarsi della contaminazione con altre forze che avrebbero potuto prendere in mano la protesta. A più riprese lo stesso Beppe Grillo, ancora nei mesi scorsi, aveva annunciato che la sua creatura politica segnava la «fine del tempo delle proteste di piazza».

«Non è più tempo di manifestazioni in piazza a carattere provocatorio, facili a sfogare nella violenza – aveva detto Grillo annunciando la corsa per il governo – E’ diventato il tempo di disegnare il nostro futuro, per questo siamo qui» . Ciò nonostante, i forum online si riempivano di richieste della prova di forza numerica. Lo stato maggiore grillino lo sa bene, per questo quando decide di convocare la protesta sceglie una formula precisa: «Per anni ci avete detto: ‘Convocateci in piazza e verremo’. È arrivato il momento».

Il blog convoca un «presidio permanente davanti Montecitorio fino al voto finale, previsto per giovedì sera». «Saranno due giorni in cui dobbiamo far sentire al massimo la nostra voce. Facciamolo come meglio sappiamo fare: pacificamente, senza cedere alle provocazioni ma pieni di determinazione – si legge nell’appello alla mobilitazione del M5S – La misura è colma. Non solo hanno architettato una legge elettorale che non consente ai cittadini di scegliere, senza preferenze e con un sistema che disperde il voto, ma adesso stanno anche impedendo al Parlamento di discuterla questa legge. Sono deboli, hanno paura dei voti segreti e quindi i propri parlamentari devono costringerli a farli votare» ma aggiunge il M5S sul blog: «È il momento di dire basta».

Gli eletti in tutt’Italia si passano la voce e provano ad organizzare la loro presenza. «Sulla legge elettorale si gioca il futuro di questo Paese, ed è necessario reagire a una porcata incostituzionale», dicono dal Movimento 5 Stelle lombardia. Potrebbe esserci lo stesso Grillo, che sabato dovrebbe essere vicino Roma, a Marino, ad annunciare il vincitore delle regionarie del Lazio.

In aula i parlamentari grillini danno battaglia, in piazza ieri oltre ai simpatizzanti M5S c’è uno spaccato del popolo «gentista»: oltre ai sostenitori del referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto accompagnati dal camper della Lega Nord, ecco arrivare una delegazione di neoborbonici con tanto di vessilli del Regno delle due Sicilie. La parte relativamente più numerosa è composta dai militanti del Movimento liberazione Italia, seguaci del generale Antonio Pappalardo, già parlamentare e sottosegretario che da qualche tempo si è messo alla testa di un gruppo diretta filiazione del movimento dei Forconi per chiedere lo scioglimento del Parlamento e la cacciata degli «abusivi».

Verrebbe da ironizzare, ma questa è una delle forme che negli ultimi anni ha assunto il malcontento, e il militare in pensione con ostinazione ha messo in piedi una base di qualche centinaio di seguarci. Gli uomini di Pappalardo scoprono di essere al posto giusto nel momento giusto: annunciano di voler rimanere ad oltranza davanti alla Camera, per contendere quello spazio ai grillini e finalmente «ripristinare la legalità». «In queste circostanze deve prevalere il momento del dialogo. Noi non siamo venuti qui per spaccare ma per vincere una grande battaglia di legalità. E allora ho dato notizia al responsabile della sicurezza pubblica della decisione del popolo sovrano di fare eseguire la sentenza nei confronti degli abusivi. Noi non ce ne andiamo di qui fino a che la sentenza non venga eseguita».

Se ne accorge Alessandro Di Battista, che scende di corsa dall’emiciclo, si getta in pasto alla folla, si fa prestare un megafono e appendendo la giacca in maniche di camicia urla «Non so chi ha convocato questa piazza!». La piccola folla risponde: «Il generale!». E allora il deputato grillino prova a riprendere il filo ma forse per la prima volta viene scavalcato sul suo terreno, contestato da chi gli chiede di dimettersi e non gli riconosce sufficiente purezza nella lotta contro la Casta.