La crisi ha aumentato la povertà assoluta in Italia. Nel 2007, ultimo anno di crescita del Pil, i poveri erano 2,4 milioni (il 4,1% della popolazione), mentre nel 2012 vivevano in povertà assoluta 4,8 milioni di italiani, l’8% del totale. Da Berlusconi fino a Renzi, i governi hanno fatto finta di nulla occultando la gravità di questo flagello.E così hanno continuato a tagliare la già esigua quota di risorse pubbliche stanziate per fronteggiarla.

Se nel 2008 i fondi statali per il contrasto della povertà erano pari a 2 miliardi e mezzo di euro, tagliando e ritagliando nel 2013 gli stanziamenti sono arrivati a 766 milioni di euro. Il goveno Letta ha fatto sgocciolare qualche spiccolo sul fondo famiglia, su quello per le pari opportunità, sulle politiche giovanili e sul fondo per la non autosufficienza, portando il livello a 964 milioni. Un miliardo 536 mila euro in meno dall’inizio della crisi, quando i poveri ufficialmente censiti erano 2,4 milioni in meno.

Il rapporto Caritas «Il bilancio della crisi», presentato ieri a Roma da Don Francesco Soddu (direttore Caritas Italiana) e Cristiano Gori dell’università Sacro Cuore di Milano, è interessante perchè specifica i numeri di questa guerra ai poveri. Solo nell’ultimo anno il fondo per le politiche sociali è stato tagliato di altri 27 milioni di euro, passando da 344 a 317 milioni di euro. E non si può dire che a qualcuno sia sfuggito il fatto che in Italia i poveri assoluti siano aumentati, senza contare quelli «relativi», i precari e i disoccupati. Questa cecità non è improvvisa, bensì programmatica. è il risultato del darwinismo economico che considera le tutele sociali come variabili dipendenti dell’imperativo del pareggio di bilancio e del patto di stabilità interno.

I tagli,uniti alla riduzione dei trasferimenti erariali ai comuni e ai vincoli imposti dal suddetto patto di stabilità interno hanno imposto il contenimento dei livelli di spesa sociale da parte dei comuni. Le ripercussioni peggiori di questi tagli sono state registrate al Sud e nelle isole, scrive Nunzia De Capite nel rapporto, dov’è maggiore l’incidenza dei fondi nazionali sulle politiche sociali. In Calabria, ad esempio, la spesa è di 25 euro a persona. Nella provincia autonoma di trento è pari a 282 euro.

Si tratta di una spesa tutta concentrata su interventi per famiglie o minori e disabili, inadeguata per le loro necessità e oltre tutto discriminatoria rispetto ad altre categorie della povertà, della precarietà e della disoccupazione. A causa dell’austerità, gli enti locali hanno tagliato la spesa del 2% dal 2010 al 2011, mentre le integrazioni al reddito sono diminuite da 762 euro nel 2010 ai 736 euro a persona nel 2011. Tutto questo mentre aumentava la platea dei beneficiari: dagli 11.800 del 2010 ai 13 mila del 2011. È la legge direttamente proporzionale dell’austerità: meno hai oggi, meno avrai in futuro, fino a non ricevere nulla.

Al ministro del lavoro Giuliano Poletti che ha partecipato alla presentazione del rapporto, il direttore della Caritas Soddu ha rinnovato l’invito a pensare almeno ad «una misura nazionale contro la povertà assoluta». La Caritas l’ha chiamata «reddito d’inclusione sociale». Ogni famiglia riceve mensilmente una somma pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia di povertà, così da disporre dell’insieme di risorse economiche necessarie ad uno standard di vita minimamente accettabile. «Diventerà realtà – sottolinea l’organismo della Cei nel rapporto – se Renzi e Poletti faranno della lotta alla povertà una priorità politica». Il «Ris» dovrebbe costare più di 7 miliardi all’anno.

Poletti ha escluso che questo possa avvenire.«Immediatamente è difficile – si è giustificato Poletti – poiché abbiamo bisogno di costruire anche un’infrastruttura che ci consenta di farlo, il nostro paese non ha una dotazione del tipo banche dati o elementi di analisi». Insomma, in attesa che il governo istituisca un’«anagrafe» per i 4.8 milioni di poveri «assoluti», i comuni continueranno a tagliare i fondi. Non è mancato un riferimento al bonus Irpef da 80 euro per il lavoro dipendente. Il «contributo» non ha ovviamente avuto effetti sulla povertà, anche perchè Renzi ha preferito il lavoro dipendente agli «incapienti». Poletti sostiene che il bonus verrà esteso anche a loro nel 2015.

Prima il «ceto medio impoverito». Poi le urgenze innominabili. Questa è la visione non proprio universalistica che ha il governo. «Queste dichiarazioni ci lasciano preoccupati – ha detto il presidente delle Acli Giuseppe Bottalico – non abbiamo riscontrato una volontà ad avviare un percorso strutturato contro la povertà». Solo interventi a pioggia e compassionevoli. Sono le politiche sociali in tempo di guerra. Quella dell’austerità.