La liberazione di 50 ragazze in cambio di 100 detenuti di Boko Haram. Sarebbero questi i termini dell’accordo a un passo dall’essere concluso tra il governo nigeriano e i militanti islamici, responsabili il 14 aprile scorso del rapimento di oltre 200 studentesse dalla scuola di Chibok. Accordo fallito, secondo quanto riportato dal corrispondente della Bbc ad Abuja, per ragioni ancora non chiare, e a cui non si sarebbe dato seguito dopo un vertice a Parigi con il presidente nigeriano Goodluck Jonathan.

Sarebbe, perché non c’è niente di chiaro in questa vicenda nonostante le dichiarazioni del capo di stato maggiore della difesa aerea nigeriana, Alex Badeh, che annunciavano la localizzazione del posto di detenzione delle liceali: «La buona notizia è che sappiamo dove sono le ragazze, anche se non possiamo dirlo». Il quale avrebbe anche aggiunto che al momento è stata esclusa ogni ipotesi di intervento di forza per scongiurare il rischio molto alto che le studentesse possano restare vittime di rappresaglia da parte dei sequestratori.

Alle trattative pare si fosse giunti in seguito all’incontro di un intermediario con i militanti di Boko Haram nel luogo in cui le sabine nigeriane sono recluse. Pochi giorni fa alcuni giornali locali citavano fonti del quartiere generale della difesa secondo cui le forze speciali della Seventh Mechanised Brigade dell’esercito nigeriano avrebbero avvistato le adolescenti a nord di Kukawa, appena ad ovest del Lago Ciad, suddivise in gruppi presso gli accampamenti degli islamisti a Madayi, Dogon Chuku e Meri. Un altro gruppo, stando a una fonte differente, si troverebbe invece a Kangarwa, nello stato del Borno, non è chiaro se in una ulteriore base di Boko Haram o in un posto di fortuna.

Questo avvalorerebbe la tesi secondo cui le ragazze sarebbero state trasportate da Chibok prima nella fitta Sambisa Forest Game Reserve e da lì a nord-est della stessa prima di raggiungere le posizioni attuali. Da qui, è facile prevedere che Boko Haram stia cercando di aprirsi possibilità di fuga verso Logone-Et Chari in Camerun e Diffa in Niger. E proprio ieri il Camerun (in passato più volte accusato dalla Nigeria di non fare abbastanza per proteggere le sue regioni dell’estremo Nord, dove si presume Boko Haram si nascondi e attraverso cui si rifornisce di armi) ha reso noto il dispiegamento al confine con la Nigeria di 1000 soldati dei reparti speciali e di veicoli blindati di nuova generazione.

Così mentre i droni di sorveglianza occidentali continuano a scandagliare la Foresta di Sambisa, a circa 330 km a sud di Maidguri, Boko Haram, certamente più abile degli 80 marines a muoversi in una fitta vegetazione di circa 60 mila km quadrati, parrebbe abbia messo a punto una valida strategia di spostamento, consapevole di quanto valga il suo bottino di guerra e di quale posizione di forza sia stato investito, sull’onda della mobilitazione della società civile internazionale a favore delle ragazze rapite.

Intanto – in tutta risposta alle dichiarazioni di autorità governative e militari che tra lo scetticismo della maggioranza dei nigeriani si affannano a lasciare intravedere eventuali progressi nella liberazione delle adolescenti – lunedì, in serata, nella città nord-orientale di Buni Yadi, nello Yobe, uomini armati di Boko Haram hanno attaccato simultaneamente una base militare e le caserme di polizia adiacenti, uccidendo almeno 31 addetti alla sicurezza.

L’attacco si è verificato non lontano da dove a febbraio scorso gli stessi islamisti uccisero ben 59 alunni di una scuola di confine. Stando alle prime testimonianze, un commando armato avrebbe fatto irruzione sparando in aria a bordo di un veicolo corazzato e di 6 pickup Toyota Hilux, rassicurando la gente in fuga che loro obiettivo erano i militari e non i civili.

Un testimone e due fonti della sicurezza, una nello stato dello Yobe, l’altra presso la sede dell’esercito a Maiduguri, hanno riferito che le vittime sarebbero 11 soldati e 14 poliziotti. La fonte a Yobe sostiene che i soldati uccisi potrebbero essere 17. Rase al suolo le caserme della polizia, la base militare, la sede dell’Alta Corte e la residenza del capo del distretto, Abba Hassan.