«Grandi progressi, impensabili fino a poche settimane fa», Giuseppe Conte esce dalla lunga videoconferenza europea con i toni del trionfatore. Riconoscere il Recovery Fund «necessario e urgente» è «un successo per l’Italia e per i Paesi che hanno spinto per questa soluzione», duetta Gualtieri. Un attimo dopo la rete si riempie di commenti all’unisono: «Grande vittoria».

In parte i toni entusiastici sono giustificati: ancora alla vigilia dell’ultimo eurogruppo la «quarta gamba» del Piano europeo anticrisi non era quasi presa in considerazione. In parte, invece, sono una recita. Il Consiglio si è concluso senza modificare di mezza virgola le aspettative. Nessuno, a Roma come nelle altri capitali europee, metteva in dubbio la decisione di varare il Piano. Dei contenuti, particolare non secondario, però non si sa niente, e della tempistica neppure. Le voci che circolano, ma che vanno prese con le pinze, parlano di un fondo di 700 miliardi: meno della metà del minimo necessario indicato dallo stesso Conte in 1500. Ma nulla è ancora detto e per fortuna i capi di Stato sono e saranno spronati da Christine Lagarde che non ha esitato a denunciare il rischio che il Fondo sia troppo poco e arrivi troppo tardi.

Proprio quello è il principale cruccio del premier italiano: la tempistica. Lo ha detto lui stesso ai 26 colleghi. I fondi devono arrivare subito, entro quest’anno, e se non è possibile urge un prestito ponte. La prova di quanto l’assenza di liquidità pesi già oggi si rintraccia facilmente nel ritardo del decreto aprile, che ormai quasi andrebbe chiamato decreto maggio, e del Def. Il consiglio dei ministri è slittato ieri a più riprese. Alla fine viene convocato per questa mattina e sarà una maratona. Ieri mattina il vertice di maggioranza che avrebbe dovuto preparare il terreno per il varo del Def era stato cancellato per evitare che finisse in rissa. Ma stavolta l’oggetto della contesa tra i vari ministeri non è il classico «assalto alla diligenza» e neppure uno scontro strategico come tanti ce ne sono stati. È che la coperta è corta e le esigenze tutte vitali, non solo per modo di dire.

Il governo chiederà uno slittamento di bilancio ciclopico: 55 miliardi. Il decreto, tra una cosa e l’altra, potrebbe lievitare a livelli stratosferici, 85 miliardi se non addirittura un centinaio. Eppure non basta perché le percentuali che il governo metterà nero su bianco oggi nel Def sono da ciglio dell’abisso. Debito pubblico al 155%, deficit al 10,4%, recessione di 8 punti in meno sul Pil. Ma sarebbe la prima volta nella storia che le cifre del Def non sono approssimate per eccesso di ottimismo e non è facile che l’eccezione capiti proprio in questo momento. Il governo, nonostante le resistenze del ministro Gualtieri, avrebbe anche già deciso un passo a modo suo epocale: la soppressione della clausole di garanzia sull’Iva introdotte nel 2011 dal governo Berlusconi, su pressione dell’Europa, con l’obiettivo di «garantire» gli obiettivi di risanamento della finanza pubblica prevedendo improbabili aumenti del gettito fiscale. Ufficialmente l’annullamento delle clausole serve a rassicurare i mercati con una prova di fiducia. In realtà quelle clausole sono sempre state un inutile macigno che ha pesato sulle casse dello Stato come su quelle di ogni singola famiglia.

Il decreto vero e proprio probabilmente vedrà la luce solo la settimana prossima, dopo il voto del parlamento sullo scostamento di bilancio. Le voci principali dovrebbero però essere già chiare. Un terzo del lavoro dipendente chiede la cassa integrazione, e sono oltre 6 milioni di lavoratori. Le casse integrazione straordinarie sono già state stanziare dal Cura Italia ma non le ha viste nessuno. «Intoppi burocratici, dovuti alla competenza regionale» è la spiegazione ufficiale. Per rifinanziare le casse integrazione ordinarie per 9 settimane ci vorranno una dozzina di miliardi e passa. Poi ci sono quei tre milioni di lavoratori esclusi dal Cura Italia, per i quali dovrebbero essere stanziati, con voci diversi, poco più di 2 miliardi. Il rifinanziamento del bonus per gli autonomi, portato a 800 euro: 7 miliardi. Una decina per le imprese, 12 per i pagamenti della pubblica amministrazione, più varie ed eventuali, tra cui il bonus per i congedi parentali, inevitabili nella Fase 2. È uno sforzo immenso. Non è sufficiente.