Migliaia di civili delle cittadine orientali di Gaza erano in fuga ieri nel timore di nuovi pesanti bombardamenti israeliani dopo la rottura della tregua avvenuta nel pomeriggio quando tre razzi sono stati lanciati verso Beersheva, nel Neghev. Un attacco improvviso che non è stato rivendicato – a Gaza lo attribuivano a un gruppo armato minore – mentre Hamas ha negato con forza di aver ripreso i lanci di razzi e ha accusato Israele di aver violato di proposito il cessate il fuoco, prolungato la notte prima di altre 24 ore. Poco prima il premier israeliano Netanyahu aveva ordinato ai suoi rapprensentanti al Cairo di rientrare subito a Tel Aviv in risposta al lancio di razzi, decretando così la fine del negoziato. In serata anche la delegazione palestinese ha lasciato la capitale egiziana e nonostante qualche voce che girava a proposito di un ulteriore prolungamento della tregua in scadenza a mezzanotte, a Gaza ci si preparava a nuovi pesanti bombardamenti aerei e di artiglieria dopo i 25 già compiuti in giornata dalle forze armate israeliane su Beit Lahiya, Shujayea, Deir al Balah, Khuzaa, Rafah, Maghazi e Zaytun che hanno fatto almeno cinque feriti, tra i quali due bambini. Preparativi anche in Israele, dove la difesa civile e diverse municipalità entro i 40 km di distanza da Gaza, hanno disposto l’apertura dei rifugi pubblici e chiesto alla popolazione di adottare misure di precauzione.

La possibilità di una tregua duratura tra Israele e palestinesi a Gaza è definitivamente “sfumata”, ha scritto ieri sera il capo negoziatore di Hamas al Cairo, Izzat Risheq, via Twitter. Che non esistessero margini reali di arrivare all’accordo era chiaro sin dall’inizio. Gli egiziani pur di riaffermare un loro ruolo nella regione hanno continuato per giorni ad insistere per il proseguimento di un negoziato senza futuro. Come aveva spiegato bene qualche giorno fa l’analista Avi Issacharoff su Times of Israel, il governo israeliano non ha alcun interesse ad accogliere le principali richieste palestinesi, a cominciare dalla revoca del blocco di Gaza, per non offrire ad Hamas la minima possibilità di proclamarsi vincitore della “terza guerra di Gaza”. E Netanyahu non ha alcun interesse anche ad accogliere la proposta egiziana che garantisce un ruolo di primo piano nel futuro della Striscia all’Autorità Nazionale del presidente palestinese Abu Mazen, percepito dal premier israeliano non come un partner bensì come un avversario. Israele che potrebbe rilanciare anche l’offensiva di terra, punta prima di tutto ad infliggere una nuova pesante punizione a tutta Gaza, non solo contro Hamas, e quindi a rilanciare la sua proposta di “calma per la calma” che gli lascerebbe le mani libere per colpire militarmente tutte le volte che riterrà di doverlo fare, con la silenziosa approvazione degli alleati Usa e dell’Unione europea.

Sul versante palestinese, Hamas ha ancora l’appoggio di gran parte della popolazione di Gaza che dal confronto militare con Israele spera di ottenere la libertà e di cambiare radicalmente la propria condizione. Ma sino a quando? Gli islamisti hanno promesso molto, hanno proclamato che non ci sarà una tregua a tempo indeterminato fino a quando Israele non revocherà totalmente l’assedio di Gaza. Tuttavia le settimane passano e non ancora si vedono i risultati sperati dalla gente mentre la brutale azione militare israeliana ha costretto centinaia di migliaia di palestinesi ad abbandonare le loro case (migliaia delle quali distrutte) e a vivere da sfollati in condizioni difficili in scuole ed edifici abbandonati. I morti sono già stati oltre duemila e i feriti più di 10mila. Dati e situazioni che rischiano di aggravarsi nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Se non arriverà la revoca dell’embargo cercato sino ad oggi invano al Cairo e altri risultati attesi, Hamas potrebbe essere costretto ad accettare la “calma per la calma” che intende imporre Israele. Su questo punta Netanyahu.

Intanto si è appreso che da oltre un mese gli operatori di Amnesty international e di Human Rights Watch tentano di ottenere da Israele il permesso di entrare a Gaza, ma vengono respinti con motivazioni varie. Lo ha scritto il quotidiano di Tel Aviv Haaretz. Un portavoce del ministero degli esteri, Yigal Palmor, ha spiegato al giornale che in base ai criteri fissati dal governo, Israele ha autorizzato l’ingresso a Gaza a varie categorie, fra cui diplomatici, giornalisti e rappresentanti di organizzazioni umanitarie. Amnesty, ha aggiunto, non rientra in quei criteri, mentre il caso di HRW non gli sarebbe noto.