Se alcuni hanno definito la campagna elettorale in Germania noiosa per via dei pochi dubbi in merito a chi guiderà il prossimo governo, da qualche mese ferve invece il dibattito sul destino dell’Unione europea e della moneta unica. La crisi sistemica dell’euro è il titolo dello studio commissionato nel maggio di quest’anno dalla Rosa-Luxemburg-Stiftung (il think thank che fa capo alla Linke) agli economisti Hainer Flassbeck e Costas Lapavitsas. La loro tesi: non va esclusa l’uscita controllata dei paesi del Sud-Europa dall’euro. Data la situazione attuale sarebbe sbagliato – scrivono – non considerare seriamente l’ipotesi di un ritorno alle divise nazionali: un passo che fornirebbe la spinta necessaria a far ripartire le sofferenti economie «periferiche».

Della stessa fondazione è Mario Candeias, politologo, intervenuto anch’egli nella discussione. D’accordo con l’analisi dei due economisti sui problemi della moneta unica, Candeias non condivide la soluzione che propongono: il ritorno alle divise nazionali avrebbe conseguenze negative per tutti i paesi, in primis per la Germania, che vedrebbe calare sensibilmente le proprie esportazioni. Una posizione simile è quella di Elmar Altvater, professore emerito alla Freie Universitaet di Berlino: il ritorno alle monete nazionali – sostiene – rappresenterebbe la tipica cura troppo forte che rischia di uccidere il malato.

Un’altra voce autorevole in questo dibattito è quella del sociologo Wolfgang Streeck, autore del recente libro Tempo guadagnato (Feltrinelli 2013), che argomenta come le politiche restrittive di questi ultimi anni siano un attacco mortale all’esistenza stessa della democrazia in Europa. Streeck sostiene un ritorno agli stati nazionali come unica via percorribile per provare a sostituire la giustizia sociale alla giustizia del mercato. Le istituzioni europee sarebbero infatti costitutivamente incapaci di formulare politiche alternative a quelle neoliberiste.

Le tesi di Streeck hanno provocato la reazione del più illustre fra i filosofi tedeschi viventi, Jürgen Habermas, che in vari interventi pubblici lo ha accusato di fare gli stessi errori dei partiti di sinistra all’alba della Prima guerra mondiale. La partita tra democrazia e capitalismo dovrebbe giocarsi a livello europeo, e sarebbe anzi una mancanza di coraggio nei confronti dei nazional-populismi tornare a tesi isolazioniste. Nonostante paura e conservatorismo siano in rapida diffusione in tutto il continente, un dibattito a sinistra sull’Europa sembra, per fortuna, ancora possibile.