È arrivata questa mattina ad Odessa la carovana della rete “Stop The War Now” formata da oltre 180 organizzazioni della società civile italiana. Un gruppo di 150 volontari provenienti da numerose città italiane si è messo in viaggio con 30 furgoni carichi di 20 tonnellate di aiuti umanitari e 20 generatori di corrente.

I generatori sono stati acquistati grazie alla raccolta fondi avvenuta nelle sedi della Cgil e al contributo della Diocesi di Bologna e sono stati donati ai centri di accoglienza gestiti dal sindacato Fpu e all’ospedale Pediatrico di Odessa, serviranno ad alimentare dissalatori per l’acqua, rifugi anti-aerei e alcuni centri per la distribuzione di aiuti umanitari della Caritas.

Può sembrare poca cosa ma come ha spiegato Erri De Luca, uno dei volontari, «noi siamo dei disarmati volontari che portano assieme alla fraternità qualche genere di sussistenza, medicine, cibo, generatori. Dimostriamo un po’ di fraternità. L’Ucraina si trova in uno dei deserti della storia, noi portiamo qualche goccia che in un deserto non è mai sprecata».

L’ARRIVO A ODESSA è stato accolto da Yevgen Drapiatyi vicepresidente della Federation of Trade Unions of Ukraine «vivevamo e lavoravamo in pace, ha detto, ma adesso nei nostri cieli piovono missili che oscurano il sole e uccidono le persone».

La città di oltre un milione di abitanti sarebbe stata fondata grazie a un napoletano di origine spagnola, José de Ribas, nato a Napoli nel 1749. «E infatti – secondo Stefano Gennaro Smirnov, ingegnere coordinatore del progetto dell’associazione Papa Giovanni XIII ad Odessa e Mykolaiv – ricorda molto Napoli. La città che viveva dell’economia del porto e del turismo veniva già da due anni di sofferenza per la pandemia del Covid si è dovuta poi completamente fermare per la guerra: il porto è bloccato è ovviamente non c’è turismo, non c’è lavoro e dato che anche le entrate del Comune si basano sui redditi degli abitanti (imposta sui redditi qui va al Comune) anche il pubblico fa fatica, i sussidi non bastano e quindi la gente si arruola anche solo per avere uno stipendio. Sono gli effetti a lungo termine della guerra».

Poi, riprende Gennaro, «essendo un Paese dotato di energia nucleare tutte le infrastrutture si basano sull’energia elettrica: dalla rete idrica al riscaldamento, alla cucina domestica venendo a mancare l’elettricità per i bombardamenti non c’è l’acqua (che è tirata su dai pozzi con pompe elettriche), non ci si può riscaldare e non si può cucinare perché il modo più comune si basa su piastre elettriche».

Noi, spiega Alberto Carandini, vorremmo passare «dai rapporti di forza, alla forza dei rapporti».

LUNGO LA STRADA CHE arriva alla città da sud paludi, frutteti e campi si alternano ad una fattoria solitaria che rompe la monotonia della campagna, pescatori solitari si confondono tra le canne e ogni tanto l’oro irradia la cupola di una chiesa, mente i posti di blocco si ripetono, si intravedono i bunker e trincee scavate e gli onnipresenti cavalli di frisia.

È primavera: fiori rosa, gialli e bianchi adornano il paesaggio, ma è una primavera feroce, che fa male, perché erompe tra i palazzi bombardati e i buchi dei proiettili che aprono i muri dei palazzi.

COME SE LA MORTE nella vita si scambiassero un bacio: è un bacio a distanza, la morte resta morte e la vita resta a vita come qualcosa che non si incontra con l’orizzonte non abbraccia.

Invece la guerra è entrata nel circuito della normalizzazione, è diventata endemica, un fatto naturale come la pioggia e la primavera. E mentre i volontari del furgone n. 4 cantano Cambia todo cambia di Mercedes Sousa, ti chiedi se tutto cambia perché la violenza che è intrinseca ad ogni guerra non cambia mai.