Nello stesso giorno (10 ottobre scorso) in cui il papa diceva «Abortire è come affittare un sicario per risolvere un problema», paragonando così le donne che ricorrono all’aborto a delle assassine, Rai4 ha mandato in onda Revolutionary road, film del 2008 diretto da Sam Mendes e che, visti gli attacchi sempre più feroci contro la 194, è di grande attualità. La vicenda è ambientata a New York e dintorni negli anni Cinquanta e racconta i tentativi di una coppia, interpretata da Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, di uscire da quell’american dream cui ci si aspetta che tutti dovrebbero aderire con gioia (bella casa, buon lavoro di lui, famiglia felice, lei sodddisfatta del proprio ruolo di moglie e madre). Senonchè Frank, e soprattutto April, sono irrequieti, sentono che nella vita qualcosa di meglio è possibile per cui lei propone al marito di abbandonare quella gabbia piccolo borghese e trasferirsi a Parigi per tentare un’esistenza diversa, ribaltando così tutti gli schemi dati da una società che sta loro stretta. Iniziano i preparativi, ma una serie di imprevisti (una proposta di promozione allettante per lui, una nuova gravidanza per lei), a poco a poco creano crepe.

April si accorge che il marito vacilla e comincia a mettere in discussione la decisione di partire. In fondo, sostiene Frank, anche qui è possibile fare quello che faremmo in Francia e poi il nuovo bambino dovrebbe crescere qui. April non la pensa così, sente che la terza gravidanza la chiuderebbe in una gabbia da cui non potrebbe più uscire e pensa all’aborto. Lui lo scopre, le tensioni e le liti aumentano, le dodici settimane entro le quali l’intervento sarebbe possibile passano, April capisce che non partiranno più e si sente tradita da Frank. Tutto salta quando, durante una visita, un vicino di casa, un matematico considerato mentalmente instabile e per questo sottoposto a vari elletroshock, capisce il dramma di April e le dice: «Di una cosa sono sicuro. Non vorrei essere quel bambino». Quella verità esplosiva fa saltare i non detti e le maschere.

Scoppia una lite furibonda fra i coniugi, lei dice a lui di non amarlo più, tutto sembra finito. Senonchè la mattina dopo April appare serena, prepara la colazione incarnando il perfetto ruolo di moglie comprensiva e devota, lui esce per andare al lavoro contento, e un po’ stupito, della ritrovata armonia familiare, ma non sa vedere che cosa si nasconde dietro l’apparente disponibilità di lei. Appena April resta sola, sale in bagno e si procura l’aborto che le provoca un’emorragia devastante. La corsa all’ospedale sarà inutile, e lei muore.

Ispirato al romanzo omonimo di Richard Yates, Revolutionary road e Kate Winslet mostrano senza pietismi o piagnistei quello che i fanatici antiabortisti non vogliono vedere, e cioè che solo la donna ha l’autorità di decidere della propria gravidanza perché solo lei può sapere se sarà in grado di volere, amare e accudire quel figlio. Solo lei può confrontarsi con la propria capacità e desiderio di essere madre, solo lei può sapere sa se quella maternità potrà essere una gioia o una gabbia, solo lei ha diritto di decidere se portare il peso e la responsabilità di quella decisione. Nel film, l’unico che capisce tutto ciò è il matematico mezzo matto. Lui è l’elemento sensibile che la società ha messo da parte perché si ribella agli schemi dati, e per questo disturba. In quanto figlio portatore di una ferita, la ferita dei non amati, è l’unica persona, oltre ad April, che riesce a vedere e dire la verità. Riguardo all’aborto, solo la donna può decidere. Tutti gli altri dovrebbero solo tacere.

mariangela.mianiti@gmail.com