Fino a venerdì sera Giuliano Amato era nella rosa del centrosinistra e ieri mattina alle undici è salito effettivamente al Quirinale, ma per assistere al giuramento del nuovo giudice costituzionale Filippo Patroni Griffi. Un’ora dopo Amato è stato eletto presidente, presidente della Corte, una scelta dettata dalla regola dell’anzianità alla quale lui stesso ha immediatamente aderito scegliendo ben tre vicepresidenti. A settembre una o uno tra Silvana Sciarra, Daria de Pretis e Nicolò Zanon prenderà il posto di Amato per una presidenza che per gli standard della Corte sarà lunga, oltre un anno.

Eletto all’unanimità dagli altri quattordici giudici costituzionali, Amato ha subito dopo incontrato i giornalisti con la disinvoltura di chi è abituato da decenni di attività politica alle conferenze stampa e ha voluto precisare lui stesso che «alla conclusione del mio mandato, alla rispettabile età di 84 anni, andrò in pensione». Non si è sottratto alle domande su quanto stava accadendo a Montecitorio, ai piedi del colle del Quirinale dove anche il palazzo della Consulta affaccia. Ha ricordato che il presidente della Repubblica, come la Corte costituzionale, nel nostro sistema è un organo di garanzia e non un organo politico anche quando allarga «a fisarmonica» (celebre metafora di cui è l’autore) i suoi poteri. «Finché rimane questa forma di governo è importante che il ruolo del capo dello stato rimanga chiaramente definito in questi termini di garanzia», ha detto.

Perché anche lui sa bene come proprio le difficoltà che il parlamento e i delegati regionali hanno incontrato durante tutta la settimana a eleggere il capo dello stato siano state retoricamente usate da molti leader politici – soprattutto dai responsabili delle difficoltà – come argomento in favore dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Si può fare? «Non si può spostare una rotella dell’orologio senza cambiare tutto l’orologio, altrimenti il meccanismo non funziona», ha risposto Amato citandosi ancora.

Del resto è impossibile per lui anche solo provare a restare nel profilo distaccato del presidente della Corte costituzionale avendo alle spalle cinquant’anni di proposte di riforme costituzionali, piccole e Grandi. «L’elezione diretta del presidente della Repubblica – ha detto – presenta diversi benefici, tra i quali quello che avviene in un giorno come ho sentito dire (l’hanno detto Giorgia Meloni e Matteo Renzi, ndr), ma se si introduce l’elezione diretta cosa succede ai poteri del capo dello Stato? Sono ancora poteri di garanzia?». E dunque «L’elezione diretta non può essere vista come qualcosa che da solo si innesta in un sistema lasciato così com’è». La preferenza di sistema di Amato è ancora quella che aveva espresso nel 1977, il modello francese con tutto quello che ne consegue in termini di forma di governo (semipresidenzialismo) e legge elettorale (doppio turno “aperto” di collegio).

Quanto al fatto che il nuovo inquilino del Quirinale sarà ancora quello vecchio, su indicazione del parlamento prima e persino contro quello che hanno tentato i capi partito, il nuovo presidente della Corte costituzionale enfatizza il valore del voto segreto che «come nei casi in cui è coinvolta la coscienza del parlamentare serve proprio a sganciarlo dalla disciplina di gruppo o di partito». E solo in questo caso trattiene il commento: «C’è spazio per una settimana di editoriali se il presidente sarà eletto per una scelta dal basso dei grandi elettori». Nel frattempo cadeva il «se».