L’appartamento nella Chinatown milanese è invaso dai libri. Dalle finestre aperte su un terrazzino fiorito arriva il primo caldo di quest’estate improvvisa. Milli Graffi, seduta accanto al suo compagno di vita Giovanni Anceschi, ha sul tavolo tre volumi de il verri, la rivista letteraria fondata da Luciano Anceschi nel 1956 e di cui Graffi è responsabile, e L’esplosione (il verri edizioni), l’ultimo libro di Nanni Balestrini. Avrebbe dovuto presentarlo a fine di marzo se la malattia, che se l’è portato via il 19 maggio, gliel’avesse permesso.
È finita che la presentazione si farà senza il corpo di lui, ma con lui ovunque nell’aria, alla galleria Mudima di Milano il prossimo 2 luglio, giorno in cui Balestrini avrebbe compiuto 84 anni. Un volume del verri che Milli tiene in mano ha in copertina un quadro di Nanni, uno è dedicato a lui, un altro si intitola linee di montaggio e contiene parte de L’esplosione, poema in sei parti alternate a composizioni visive sempre di Balestrini. «Nanni – dice Milli Graffi – ha cominciato con il verri pubblicando le sue prime poesie e ha finito con un’edizione del verri. È un cerchio che si chiude».
Dietro quegli inizi c’è il rapporto che univa Balestrini a Luciano Anceschi, suo professore di filosofia al liceo scientifico Vittorio Veneto di Milano, «e se pensiamo che il suo professore di francese era il poeta Luciano Erba – dice Milli Graffi – vien da dire che Nanni fu un ragazzo predestinato».

Quel che è certo, è che Balestrini fin da allora dimostrò di saper entrare in ciò che lo interessava con quella passione e determinatezza che lo hanno caratterizzato fino all’ultimo. Poesie, romanzi, opere visive, riviste, organizzartore di eventi culturali, Balestrini guardava avanti e non stava mai fermo. «Una volta – dice Graffi – gli chiesi quando trovava il tempo di scrivere. Mi disse che lo faceva la mattina presto, mentre dedicava il pomeriggio a incontri ed eventi. Da una parte la vita sociale lo occupava moltissimo soprattutto perché era aperto a tutti, dall’altra lavorava come un artigiano che fa le sue prove giorno per giorno, tipico della bottega del rinascimento. È un esercizio che nella sua produzione immensa è andato perfezionandosi in modo eccezionale, come dimostra L’esplosione alla fine della quale Nanni cita per la prima volta, per quanto ne so io, i materiali cui ha attinto: Fino all’ultimo in Caosmogonia da Jean Luc Godard, un dépliant della grotta di Altamira e La noia, il culmine, l’ansietà di Franco Berardi Bifo».
Secondo Graffi, la grande arte di Balestrini era quella di lavorare ad accostamenti anche millesimali.

«Si trattava di perdere il significato della singola citazione per lasciare posto al senso che viene fuori dall’accostamento. Il fine ultimo del montaggio non è tanto la sorpresa, ma la scoperta di trovarci qualcosa che si muove al di là dei significati coinvolti. Ne L’esplosione Nanni ha preso da Godard tutto ciò che concide con la sua poetica, il testo di Bifo gli è servito per la parte sul ’68, Altamira ha fatto scattare tutto quello che non è scritto ma è implicito nel libro, ovvero l’idea che una cosa può restare sommersa per secoli, finché un flusso la fa venir fuori di nuovo. Così come Altamira rimase sepolta per millenni, così prima del ’68 c’era il pantano, la noia estrema, poi scatta qualcosa e c’è l’esplosione, e poi all’improvviso, come dice un verso. In questo libro l’idea di montaggio è particolarmente sviluppata. Nanni sovrappone su questi tre materiali un numero elevato di considerazioni sull’arte, la vita, il mondo, il linguaggio. Ne risulta una visione cosmica, un pensiero esplicitato che sta fuori dalla scrittura. Le citazioni sollevano come un polverone di impressioni che finiscono in un pensiero alto e detto fuori dal testo. Tutto ciò scatena nel lettore delle immagini soggettive. La grande scoperta di Nanni è l’idea che la poesia si risolva al di fuori del singolo verso, è un messaggio che arriva per via aerea. È meraviglioso».

In Balestrini, Milli Graffi vede un apporto nuovo anche dentro le avanguardie. «Aveva una grandezza pari a quella di Aldo Palazzeschi che con Controdolore e il Manifesto sul futurismo fu rivoluzionario. Così come Palazzeschi fu del tutto fuori dal coro, così lo è stato Nanni, ma il nostro Paese non ama chi sta fuori dal coro e per questo da noi non è mai stato abbastanza apprezzato e riconosciuto. I francesi invece lo hanno molto amato e tradotto, perché loro sono più bravi a credere nelle figure importanti. Finché era vivo, Nanni era l’immagine di quell’utopia di cui si ha bisogno. Perché sia veramente capito bisognerebbe cambiare l’ambiente culturale e politico dell’Italia, ciò non toglie che lui è proprio nostro, italiano, e lo abbiamo coltivato noi».