La quinta è quella del Rigoletto. Archi di cartapesta, illuminati d’ocra, sotto i quali si allunga una tavolata dove siedono dodici giuristi. In questi giorni al teatro Valle si tengono le audizioni per l’opera verdiana in versione ridotta, destinata alle scuole romane. Ottomila bambini che, a turno, al mattino, ascolteranno l’aria del Duca: «Questa o quella per me pari sono». Sembra l’ultima cena, Stefano Rodotà siede al centro di un consesso nel quale si trovano a proprio agio, tra gli altri, Ugo Mattei e Maria Rosaria Marella, Paolo Maddalena, Gaetano Azzariti, Papi Bronzini e Alberto Lucarelli. Ma, visto il progetto della Costituente dei beni comuni, ieri riunita nel teatro occupato in «sede redigente», la scena aveva anche il sapore della città ideale. Lì dove nascono progetti per una società alternativa, regolata dal «codice dei beni comuni».

Questo è l’obiettivo finale della «Costituente» che intende proseguire i lavori della commissione Rodotà, convocata dall’ex guardasigilli Mastella nel 2007, con l’obiettivo di riformulare il secondo libro del codice civile, quello della proprietà. L’inedito, e ancora da esplorare, incontro tra i giuristi e i movimenti sociali che si riconoscono nelle pratiche dei beni comuni mira alto: creare un nuovo diritto, fuori dalle sedi oggi deputate a farlo. Su questo si discute, e molto. Per Ugo Mattei, la «Costituente» rappresenta in modo provocatoria una sorta di «terza camera», forse la vera sede di sperimentazione giuridica. Per Azzariti, invece, è centrale la tutela della democrazia costituzionale in aperta polemica con la «convenzione» che per il governo Letta avrebbe dovuto riformare la costituzione, ma è stata affossata da Berlusconi che ha scelto la via parlamentare (l’articolo 138). Questa proposta ieri è stata approvata.

Sul palco del Valle serpeggiava un giudizio drastico sulla fase inaugurata dal governo delle larghe intese e dalla discussa rielezione di Giorgio Napolitano: l’eccezionalità che caratterizza queste soluzioni politiche rischia di creare un nuovo regime presidenzialistico di fatto. Anche per questo l’esigenza dei giuristi di «dare una scossa alla cultura giuridica», collegandola non alla governance sovranazionale delle imprese o a quella tecnocratica europea che condizione anche gli equilibri costituzionali, bensì al «diritto vivente» che si manifesta nella società.

«È chiaro – sostiene un attivista del Valle – che i beni comuni devono essere dettati dalle esperienze fatte nei territori, dalle lotte vive e dalle forme di auto-governo che oggi si affermano fuori dai partiti vecchi e nuovi. Questa Costituente è un processo aperto per tutti i cittadini che vogliono sentirsi partecipi di un nuovo processo di democrazia, e fornirà strumenti che i movimenti potranno rivendicare nelle loro lotte, anche per tutelarsi».
Concretamente i lavori della Costituente potrebbero avere un’utilità immediata. Il nuovo codice dei beni comuni potrà servire da garanzia giuridica per gli attivisti che occupano un luogo per destinarlo ad un uso civico. E, in attesa della sua ricezione nel diritto positivo vigente, può servire come argomento politico, e di conflitto, per chi intende lavorare sui beni comuni.