Ora che la pistola sta per essere davvero carica, è inaevitabile chiedersi se il colpo partirà o resterà in canna per mesi. Fuor di metafora, se Renzi lascerà in vita il governo per un anno e passa o coglierà la prima occasione per correre alle urne.

In prima battuta, il sindaco-segretario non ha intenzione di fare fuoco. Non solo l’accordo con Napolitano è fondato sull’impegno a non votare nel 2014: anche il principale socio contraente, Silvio Berlusconi, ha bisogno di tempo. La sua sola chance è vincere al primo turno, e fino a che Fi veleggia intorno al 20% non può farcela. Tra un anno le cose potrebbero essere diverse. Così nella difficile trattativa di ieri mattina, col cavaliere che insisteva per non andare oltre il 36% come soglia per il premio di maggioranza, l’impegno a rinviare il voto potrebbe essere stato uno degli argomenti decisivi per smuoverlo (insieme alla paura di avvantaggiare i suoi peggiori nemici indebolendo Matteo il Dialogante).

Inoltre, la cancellazione del Senato non è affatto un capitolo secondario. Renzi punta su quello scalpo per conquistare una parte dei voti grillini, e ci vorranno 8-9 mesi nella migliore delle ipotesi. Aver affidato al governo il compito di ridisegnare i collegi serve proprio a rassicurare i governanti. Ma l’obbligo di portare a termine il compito a tappe forzate, non oltre i 45 giorni, dimostra che il rottamatore non ha abbassato la guardia.

La pistola resterà muta. Ma non riposerà nella fondina. Rimarrà spianata, pronta a sparare se il governo navigasse in cattive acque e accumulasse dissensi. Un anno di galleggiamento e risultati deludenti sarebbero per Berlusconi un assist prezioso. Renzi non ha alcuna intenzione di regalarglielo. Per questo, nel suo tweet di ieri, ha scartato dalla legge elettorale, ormai quasi acquisita, per mettere in cima all’agenda il jobs-act. Ora è il governo che deve muoversi.

La stessa ipotesi, che continua a circolare, di un cambio della guardia a palazzo Chigi, con il medesimo Matteo al posto di Letta, è solo una minaccia necessaria per forzare la mano a Letta. Proprio per fugare questo spettro il premier sostiene oggi a spada tratta l’amico-nemico del Nazareno.

Il punto debole di questa strategia, tanto per cambiare, si chiama Angelino Alfano. Per il sindaco di Firenze un governo che porta consensi alla sua futura candidatura è un governo che mette i cari amici dell’Ncd in un angolino buio e non gli permette di muoversi di lì. Il programma 2014 deve chiarire agli elettori di centrosinistra che l’ex delfino di re Silvio conta poco più di niente. Ovvio che alla vittima predestinata il gioco piaccia pochissimo e che scalci come può. La sua imperativa richiesta di un coinvolgimento di Matteo Renzi, con tanto di ministri “renziani”, suona come il tentativo disperato di piazzare un po’ di “scudi umani” a difesa dell’esecutivo e della legislatura.

Altrettanto ovviamente, però, l’assediante non ha alcuna intenzione di concedergli un simile vantaggio. Incalzare dall’esterno gli permetterà di accreditarsi ogni eventuale successo del governo senza condividerne le sconfitte, nonché di abbatterlo se e quando necessario. Per questo l’idea di rimpasto è al momento derubricata a un “rimpastino” che dovrebbe riguardare solo i ministri tecnici (Saccomanni escluso). Sempre che Alfano non decida di vendere davvero cara la pelle.