Si è da poco conclusa la mostra «DANTE 100%: cento canti per cento quadri» a Palazzo Firenze a Roma, sede della Società Dante Alighieri e, sempre a Roma, viene mostrato In viaggio con Dante – Leggere Dante sulle immagini dell’Italia di oggi, l’ambizioso e intelligente progetto del regista Lamberto Lambertini e dello storico Paolo Peluffo, prodotto dalla Società Dante Alighieri con il sostegno di Arcus, vero e proprio piccolo kolossal d’autore all’italiana. Ogni sera, fino al 6 settembre, nel Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, con proiezioni continue dei film della Maratona Infernale (Inferno) e della Montagna Infinita (Purgatorio), nella Cappella dei Condannati. E ora finalmente sono cominciate le riprese del Paradiso.
A quale titolo hai pensato per la terza e ultima cantica?
Senza principio, senza fine. Perché Dante, ispirandosi, tra gli altri, a San Tommaso, riporta l’immagine del cerchio come visione estatica di Dio. Il Paradiso può attendere recita un famoso film americano, il nostro no, non può più attendere. C’è una scadenza di consegna con il Ministero degli Esteri, che ha già distribuito i nostri precedenti dvd danteschi, sottotitolati, agli Istituti Italiani di Cultura di tutto il mondo. La realizzazione del Paradiso è partita in ritardo per i tagli che hanno subito, in Italia, tutti coloro che, nel pubblico e nel privato, producono cultura, come la Dante Alighieri. Eppure, con il presidente Andrea Riccardi, il segretario generale Alessandro Masi e il vicepresidente Paolo Peluffo, siamo riusciti a partire per quest’ultima avventura che concluderà la nostra Divina Commedia cinematografica.
In questi casi in genere si dice che si tratta di saper fare creativamente di necessità virtù.
Anche se devo dire che in ogni caso per il Paradiso non avevo immaginato di girare su e giù per l’Italia come ho fatto per le altre due cantiche.
Secondo un’iconografia reale o immaginaria della «Divina Commedia» l’Inferno e il Purgatorio sembrano più facilmente assimilabili a visioni o immagini reali, mentre il Paradiso sembra sfuggire a figurazioni codificate.
Il Paradiso ci obbliga a un’idea astratta. Nell’Inferno, il buco nella Terra creato dalla Caduta di Lucifero, oppure, come nel Purgatorio, la montagna che viene fuori dalla stessa Caduta, dalla parte opposta del pianeta, Dante cammina, sottoterra o sopra la terra, incontra persone, ascolta i loro drammi, e questo lungo viaggio di purificazione, è stato da noi raccontato nei luoghi e con le persone di oggi. Il Paradiso invece è un non-luogo. Beatrice lo conduce in mezzo ai pianeti, ai santi, alle stelle. Con Peluffo nacque un’intuizione: mostrare le rovine di Roma, dell’Impero e del Papato, i due poli, ossessivi, dell’ideologia di Dante. Luoghi inabitati, segnati dai secoli, le uniche tracce visibili della Storia, simulacri di ideali, politici e religiosi del passato, per lo più falliti, ai quali tuttavia siamo ancora legati, noi oggi, come Dante ai suoi tempi. Sulle rovine di Roma pensammo di costruire il nostro Paradiso. Perché le rovine sono anche frammenti di bellezza d’Italia, perché non sono vita, ma arte e quindi promessa di felicità futura.
Schuré, Guénon, Zolla sono grandi intellettuali che da angolazioni diverse hanno approfondito l’esoterismo di Dante e della «Divina Commedia» in particolare. Sono autori che tu conosci e che in qualche modo ti avranno influenzato.
Sono autori che costituiscono un punto di riferimento imprescindibile per la Commedia, figuriamoci per il Paradiso, cantica della reinvenzione del non-detto e del non-visto. Cantica che ci consegna la visione di Dante dell’intero universo. Alla fine il poeta avrà il premio, il dono, più unico che raro tra i viventi, di vedere la luce divina prima di tornare indietro. A quel punto, dice: «all’alta fantasia qui mancò possa», dichiarando, genialmente, l’incapacità, persino per una persona della quale aveva una non piccolissima considerazione, di trovare le parole adeguate per descrivere quello che ha visto. Persino Dante, rimane senza parole.
Ho saputo che stavolta la factory di Lambertini ha una nuova sede per la post-produzione.
È vero, nei sotterranei caravaggeschi del cinquecentesco Palazzo Firenze, è stato allestito uno studio audiovisivo di altissimo livello. Con questa nuova possibilità e con l’aiuto dei miei abituali collaboratori, Carlo Sgambato (direttore della fotografia, operatore e montatore), Savio Riccardi (musiche originali), Valentina Spata (consulente storico-artistica), ce la potremo fare e magari continuare, con lo studio nella casa madre, con i poeti italiani. In effetti quest’operazione sulla Divina Commedia per la Dante fa anche un po’ da apripista come format, modello narrativo. Infatti c’è un progetto di dedicare dei ritratti audiovisivi con altrettanti dvd a 10 poeti tra cui Leopardi, Petrarca ecc…
Nel racconto del «Paradiso» sono inserite anche immagini dei tuoi quadri con implicazioni metalinguistiche.
Vero, oltre alle rovine, ci saranno altri elementi. Intanto, vorrei coinvolgere le studentesse che vengono da ogni parte del mondo per seguire i corsi d’italiano della Dante Alighieri. Giovani beatrici che, si alterneranno con me, nella lettura dei difficilissimi versi del Paradiso. Palazzo Firenze sarà l’ambiente ideale, quasi un teatro, con i suoi saloni, giardini, aule e biblioteche, per le nostre letture. E poi, ultimo non-luogo, il mio studio d’artista, bozzetti, libri, quadri, che ci faranno ripercorrere, canto dopo canto, i sette lunghi anni del nostro viaggio con Dante. Nell’ultimo quadro, il centesimo, si legge: «all’alta fantasia qui mancò possa». Come se anch’io deponessi le armi, in stile surrealista, di fronte all’impossibilità di comprendere totalmente e di voler rappresentare il più grande poeta dell’occidente.
Il progetto sta diventando un po’ il fiore all’occhiello della Dante Alighieri.
Finendo esattamente alla fine del 750° anniversario della nascita del poeta, penso alla gioia che si sarebbe prodotta in un uomo del medioevo, per cui tutto è simbolo e numero. La verità è che tanto lavoro, quando sarà compiuto, 21 dvd, per 21 ore di proiezione, potrà essere finalmente divulgato, e commercializzato, come si deve, dopo che mezzo mondo lo ha già applaudito, commosso, nei teatri e nelle scuole.
E dopo a quali altri progetti ti dedicherai?
Ne ho troppi in testa. Una forma di accumulo per astinenza. Il primo in pista è L’inganno felice, il racconto del principe palermitano che va a Gerusalemme senza uscire dal suo giardino, scritto con Antonio Monroy, adesso con un vero produttore, Salvatore Pecoraro. Poi c’è Casa Bianca, Garibaldi a Caprera, un’idea condivisa, e mai abbandonata, con Paolo Peluffo. Ultimo arrivato è Sangue Blues, un misterioso noir napoletano che sto scrivendo con Carlo Di Sangro. In questa storia, James Senese, che ha accettato con entusiasmo, interpreterà un ispettore di polizia innamorato del jazz, che deve risolvere dei delitti nei quali è implicato nientemeno che il principe di Sansevero.
Non possiamo non ricordare Omar Sharif che tu hai avuto il piacere e l’onore di dirigere.
Che bello, e che triste, ricordarlo. Ero molto legato a lui. L’avevo incontrato da poco. Sapevo che non stava bene, che aveva chiuso con il cinema. Ma a me sembrava lo stesso. Un fratello. Con la stessa, direi aristocratica, tra noi, sintonia di sempre. Abbiamo ricordato, ridendo, delle nostre serate a Napoli. Altro che Alzheimer, ricordava tutto. Il film, la mia famiglia, mio figlio piccolo che appena lo vide gli mollò uno schiaffo. Le mie passioni, le cene, vero rito, un gioioso ripago dopo il lavoro, da lui rigorosamente, umilmente svolto, ogni giorno, in totale digiuno. La fame, diceva, è il più grande stimolo per l’intelligenza, l’unica droga. A sera, stremati: la cena! Pagava sempre lui, fossimo due o ventidue. Attitudine assai rara per un attore. Aveva gusti raffinati. Nei vini soprattutto. Una volta, tuttavia, a Napoli, da Mimì alla Ferrovia, s’innamorò dell’Aglianico della casa. Non riusciva a credere che un vino così buono potesse costare così poco! Mille confidenze, intellettuali e private. Bicchiere dopo bicchiere. Basta. Per superare la commozione, sto scrivendo un ricordo personale dell’attore intitolato Caro Omar. Lettera aperta di un napoletano ad un egiziano che amava Napoli.

NOTA BIOGRAFICA

Iscrittosi alla facoltà di Medicina, si trasferisce prima a Parigi e poi a Londra dove fa l’aiutante del pittore Lucio Del Pezzo. Rientrato in Italia, inizia a lavorare come grafico del Teatro Stabile di Roma per poi esordire come regista. Nel 1982 fonda la Compagnia Teatrale con Peppe e Concetta Barra per i quali curerà gli spettacoli come autore testi e regista. Ha debuttato nel cinema col progetto Diario Napoletano ma il suo esordio vero e proprio avviene nel 1995 quando scrive e dirige il suo primo lungometraggio: Vrindavan Film Studios con Enzo Decaro, ambientato in India, presentato al Festival di Venezia. Torna dietro la macchina da presa nel 2005 con Fuoco su di me con Omar Sharif e nel 2007 gira il cortometraggio Queste cose visibili.
È stato anche un autore e regista radiofonico e per la Rai ha realizzato Il principe di Sansevero, Diabolik ed Eva Kant uniti nel bene e nel male, Passeggiate di Lamberto Lambertini per Napoli e Contorni, Al Ballo con Marcel Proust, Tredici Notti con Sade, Una Lettura di Casanova. Nel 2001 ha scritto il libro Sono nata a Procida. Memoria impossibile di Concetta Barra e non ha mai abbandonato un’altra sua grande passione, la pittura. Nel 2008 è iniziata la sua avventura della Divina Commedia realizzando il suo progetto artistico più ambizioso, In viaggio con Dante – leggere Dante sulle immagini dell’Italia oggi diviso in tre parti (Inferno, Purgatorio e Paradiso)